Queste mattine sono devastanti: mi alzo colle ossa rotte, compromesse da un sonno intermittente in un abitacolo troppo srtretto, esco dall'auto, mi sgranchisco, cerco di farmi un caffè. E' più difficile del previsto, si tratta di raggiungere la zona dei bagni dell'area di servizio e sperare che l'acqua del rubinetto del lavandino sia abbastanza calda da sciogliere la polvere.
Chiaramente è una sistemazione provvisoria: attendo di guadagnare un po' di denaro e poi cercherò qualche cosa di più confortevole. Non ho nulla contro il fatto di dormire in auto, ma alla lunga è destabilizzante.
Per esempio non lontano da qui c'è un tizio che affitta vecchie roulotte, comprensive di televisione all'interno. Sono tutte mezze sgangherate, ma -credo- sufficientemente solide.
Si tratta ovviamente di surrogati di alloggio finalizzati a stare e non a muoversi. Tuttavia il posto è bello... sulla riva del mare.
Dopo il caffè mi faccio una doccia, poi un'altro caffè poi vado al lavoro.
Da quando mr. Kelly ha tirato le cuoia ho dovuto abbandonare il mio precedente posto di lavoro.Il che era in qualche modo nei patti, il prezzo da pagare a voler fare a modo mio. Ho anche pensato che scomparire non fosse una cattiva idea.
Lavoro nelle banane. Sembra una cosa pornografica ma non è così. Le banane sono portate dalle piantagioni con dei convogli appositi. Nello stabilimento i grossi ceppi vengono lavati sommariamente per poi ricavarne caschi che vengono divisi a seconda delle dimensioni del frutto: le banane piccole in una vasca le grosse in un'altra.
La catena è semplice: i tagliatori tagliano e lanciano i caschi ad un catcher che deve( dovrebbe in realtà) porli delicatamente nelle vasche di lavaggio. Qui il pusher crea delle file su un nastro che trasporta i caschi ai lavoranti che eseguono il controllo di qualità, sbarazzandosi dei frutti danneggiati e rovinati. Il percorso prosegue fino agli impacchettatori, ma ciò non mi riguarda, io mi limito a spingere via i caschi che il catcher infila nella vasca, avendo cura a che non finiscano sotto il rullo.
C'è sempre musica molto alta, una pausa sindacale di 15 minuti, ogni due ore e mezzo di lavoro e ovviamente la pausa pranzo.Nella mia posizione sono esposto agli spruzzi dei caschi che cadono in acqua, i catchers spesso infatti non sono molto delicati: lavoro sempre sotto la visiera del cappello, con guanti di lattice e doppio grembiule. Nella vasca spesso ci sono dei ragni arancioni grossi come noci. Non sono mortali. Beh ...comunque è anche per questo che usiamo i guanti.
Mentre le mani e il corpo si muovono la mente sceglie altre direzioni. Spesso mi ritrovo a pensare alla fine di Mr: Kelly, a come nessuno abbia notato quanto fosse provvisorio quel finale. C'è un breve paragrafo nei Tipi Psicologi in cui Jung spiega che le creature del mare e degli abissi sono simboli nell'esperienza psichica comune delle forze creative inconscie, così come le creature del cielo, per contrasto, lo sono della vita spirituale.
La creatura che vive negli abissi custodisce delle energie che l'eroe prima o poi dovrà resuscitare alla vita cosciente, energie assolutamente necessarie all'eroe e a lui intimamente legate; non è un caso che Gilgamesh recuperi dal ventre del mostro parte del suo clan e Pinocchio porti fuori dalla balena il buon Geppetto. C'è sempre un antro oscuro in cui è necessario scendere per risorgere più forti e consapevoli. E nell'attesa questo antro serba e custodisce, sia anche una manica di forzati come nella caverna di Platone.
C'è anche un'altra cosa a cui penso spesso. E' un pensiero che arriva sotterraneo per poi diventare luminoso e illuminante, come quando vi rendete conto che l'andatura dell'Uomo Ragno sulle lisce pareti della città di vetro è molto più simile a quella di una rana, che non a quella di un ragno. Anzi, per quanto non ve ne foste mai accorti è proprio quella di una rana.
La cosa a cui penso è questa. Che se tutta questa vicenda di Paul Garret ha un qualche senso forse esso deve essere cercato nella sfera dei nomi. I nomi sono una cosa seria.Claude Levi Strauss, fra le tante cose che racconta in Tristi Tropici, narra anche di come tribù diverse nel cuore dell'Amazzonia intrattengano coi nomi propri rapporti diversi, di come un clan li esibisca e l'altro li celi, considerandoli il mezzo per attentare all'integrità dell'individuo, una via d'accesso alla sua vulnerabilità. Cosa è infatti il nome se non il suono di quell'individuo? L'antropologo racconta anche che presso certe tribù è costume abbandonare il proprio nome per quello del nemico ucciso, o portare nomi diversi in diverse fasi della propria vita, affermazioni che troviamo anche nella monumentale opera di Frazer, o per essere più onesti, nella sua riduzione.
Se devo dire la mia preferivo il nome Garret a quello di Kelly. Di questo sono sicuro anche se non saprei dire cosa c'entra con tutto il resto. Si tratterà certamente di un corollario alla mia tesi principale e cioè che i nomi sono una cosa seria.
La prima pausa giunge inaspettata. La musica si spegne, poi con maggior lentezza anche le macchine. Il ritmo è stato frenetico e non ho avuto modo di accorgermi di niente, niente di quello che accadeva intorno a me, o che era accaduto, per tutta la mattina.
Esco a farmi un caffè nel capanno. Il sole è forte e caldo; il territorio piatto e sterminato da qui non si vedono nè i campi nè il mare. I ragazzi sono insolitamente inquieti, sia gli orientali che gli occidentali. Alcuni parlano a bassa voce, altri aprono le mani in gesti fatalistici o di aspra incredulità. Un gruppo rientra nel capannone centrale; incuriosito, li seguo.
Stando a dovuta distanza si additano la vasca delle seconde scelte che oggi inspiegabilmente è stata chiusa. Mi avvicino al gruppetto dei coreani. Nel nostro inglese sgrammaticato e da porto franco ci spieghiamo: il filippino che lavora all'imballaggio delle casse di venti chili, mi dicono, è stato trovato morto nella vasca in questione. "Come - mi chiedono- non hai notato gi agenti stamattina?" .
In effetti la vasca delle seconde scelte è piuttosto distante dalla mia posizione, quindi no, non mi sono accorto di nulla. Dicono che il poveretto, che era rimasto oltre l'orario di ufficio, volontario per la manutenzione dei rulli, è stato tirato sott'acqua, annegato e poi parzialmente smembrato.Alle autorità competenti è bastato un semplice colpo d'occhio per affermare che quello era chiaramente il lavoro di un coccodrillo. E di un coccodrillo bello grosso.
Come poi un coccodrillo sia arrivato dentro la vasca non si riesce a capire, come non si riesce a capire dove sia finito dopo. Le vasche sono lunghe una quindicina di metri ma mai più profonde di una decina di centimetri, tranne nella zona in cui le banane vengaono buttate dal catcher e spinte sul rullo dal pusher. Lì per una lunghezza di un paio di metri la profondità è di circa un metro e mezzo.
La faccenda puzza.
Puzza tremendamente.
...
Conoscevo il filippino, era indubbiamente un bravo ragazzo.
Cerco una sigaretta e me l'accendo.
Al diavolo, mi dico, qui c'è un filippino da vendicare.
domenica 7 dicembre 2008
venerdì 5 dicembre 2008
FIRE YOUR GUNS
L'uomo che cammina sulla spiaggia ha un'andatura incerta e barcollante, muove a zig-zag verso il mare.
Ho detto mare? Avrei dovuto dire oceano.
Ben noto ai nostri lettori, attualmente si fa chiamare Ned Kelly come il sanguinario bandito e, detto fra noi, non si può dire che abbia una bella cera.
Cosa abbia fatto di questi tempi in cui l'avevamo perso di vista è presto detto. Si trattava di risolvere una certa questione in una sonnolenta città del continente.
Strano posto l'Australia, ogni tanto qualcuno finisce col lasciarci le penne.
La questione, in realtà si è dimostrata più spinosa del previsto, ma insomma andava sistemata.
Ed ecoci qui.
L'uomo incontrato in un pub di Kalgoorlie e che gli aveva rifilato, fra l'altro, quella dannata automobile, aveva detto la verità: l'altro uomo, quello responsabile dei fatti di Adelaide, l'uomo attorniato da monaci inquietanti e che trasformava, così pareva almeno, eseri umani in mosche, non era il vero John Corradine ma un impostore chiamato John Brown.
L'uomo di Kalgoorlie doveva in qualche modo essere sopravvisuto ai vampiri giacchè aveva fatto in modo di onorare la parola data. Era senz'altro merito suo se il reverendo Brown non era riuscito a dare vita nè agli undici apostoli nè al gigante di Gloucester.
Per sua sfortuna però il tizio di Kalgoorlie non era sopravvissuto al reverendo stesso.
Niente di irrimediabile comunque: il reverendo da parte sua, e nonostante tutta la sua buona volontà, non era riuscito a sopravvivere all'ex Paul Garret.
E con lui avevano siglato il loro addio al mondo i suoi accoliti e la loro chiesa.
L'attacco era arrivato quando nessuno se lo aspettava, cruento e spietato.
Come dicevo, la faccenda non aveva risparmiato nemmeno Mr Kelly.
Come mai egli abbia deciso di venire a morire proprio qui, non lo saprei dire. Indubbiamente il posto è molto bello e poco frequentato. Sarò un sentimentale, ma devo riconoscere che lo spettacolo di un uomo che cammina verso l'oceano tenendosi le viscere in mano , non mi lascia indifferente.
Certamente questo arabesco rossastro sulla sabbia è poca cosa rispetto a tutto il sangue che è stato versato alla chiesa nera. E' anche vero che qui manca ogni spettacolarità: nessuna testa che salta o che rotola, nessuno scontro epocale, niente grandi effluvi di adrenalina. Non ci sono mosche vestite da monaci che si fanno sotto roteando pesanti spade orientali o vecchi preti pervertiti che si giocano il tutto e per tutto estraendo a tradimento pistole d'altri tempi in uno scontro che doveva essere alle armi bianche.
Insomma qui c'è solo un uomo che muore.
Indubbiamente in gran parte per colpa sua.
In parte minore per colpa vostra e del genere umano in genere, di quella folta schiera che si rincoglionisce giocando coi cellulari e non compra i fumetti. Scusate lo sfogo.
Ma perchè andare verso l'oceano? Tutta quella distesa d'acqua grigio verde mette freddo solo a guardarla. Se io fossi in lui, se fosse toccata a me non esiterei a sdraiarmi sulla spiaggia ancora calda di sole e a lasciarmi andare col rumore sordo delle onde nelle orecchie.
Non pago invece questo assurdo moribondo è entrato in acqua e arranca verso quell'enorme scoglio nero.
Oh certo, ora capisco...era il tassello mancante.
In effetti questa storia era incominciata giusto così , con un famelico squalo che fuggiva dall'acquario di Sydney e in barba ad ogni tipo di previsione scendeva verso le fredde acque artiche macinando migliaia di chilometri sotto la sua pancia bianca.
Come si faccia poi a scambiare uno squalo per uno scoglio, direte voi, è un gran mistero.
Gli scogli non hanno la bocca.
Non hanno denti.
Non scompiano negli abissi dopo aver inghiottito la loro preda.
Ho detto mare? Avrei dovuto dire oceano.
Ben noto ai nostri lettori, attualmente si fa chiamare Ned Kelly come il sanguinario bandito e, detto fra noi, non si può dire che abbia una bella cera.
Cosa abbia fatto di questi tempi in cui l'avevamo perso di vista è presto detto. Si trattava di risolvere una certa questione in una sonnolenta città del continente.
Strano posto l'Australia, ogni tanto qualcuno finisce col lasciarci le penne.
La questione, in realtà si è dimostrata più spinosa del previsto, ma insomma andava sistemata.
Ed ecoci qui.
L'uomo incontrato in un pub di Kalgoorlie e che gli aveva rifilato, fra l'altro, quella dannata automobile, aveva detto la verità: l'altro uomo, quello responsabile dei fatti di Adelaide, l'uomo attorniato da monaci inquietanti e che trasformava, così pareva almeno, eseri umani in mosche, non era il vero John Corradine ma un impostore chiamato John Brown.
L'uomo di Kalgoorlie doveva in qualche modo essere sopravvisuto ai vampiri giacchè aveva fatto in modo di onorare la parola data. Era senz'altro merito suo se il reverendo Brown non era riuscito a dare vita nè agli undici apostoli nè al gigante di Gloucester.
Per sua sfortuna però il tizio di Kalgoorlie non era sopravvissuto al reverendo stesso.
Niente di irrimediabile comunque: il reverendo da parte sua, e nonostante tutta la sua buona volontà, non era riuscito a sopravvivere all'ex Paul Garret.
E con lui avevano siglato il loro addio al mondo i suoi accoliti e la loro chiesa.
L'attacco era arrivato quando nessuno se lo aspettava, cruento e spietato.
Come dicevo, la faccenda non aveva risparmiato nemmeno Mr Kelly.
Come mai egli abbia deciso di venire a morire proprio qui, non lo saprei dire. Indubbiamente il posto è molto bello e poco frequentato. Sarò un sentimentale, ma devo riconoscere che lo spettacolo di un uomo che cammina verso l'oceano tenendosi le viscere in mano , non mi lascia indifferente.
Certamente questo arabesco rossastro sulla sabbia è poca cosa rispetto a tutto il sangue che è stato versato alla chiesa nera. E' anche vero che qui manca ogni spettacolarità: nessuna testa che salta o che rotola, nessuno scontro epocale, niente grandi effluvi di adrenalina. Non ci sono mosche vestite da monaci che si fanno sotto roteando pesanti spade orientali o vecchi preti pervertiti che si giocano il tutto e per tutto estraendo a tradimento pistole d'altri tempi in uno scontro che doveva essere alle armi bianche.
Insomma qui c'è solo un uomo che muore.
Indubbiamente in gran parte per colpa sua.
In parte minore per colpa vostra e del genere umano in genere, di quella folta schiera che si rincoglionisce giocando coi cellulari e non compra i fumetti. Scusate lo sfogo.
Ma perchè andare verso l'oceano? Tutta quella distesa d'acqua grigio verde mette freddo solo a guardarla. Se io fossi in lui, se fosse toccata a me non esiterei a sdraiarmi sulla spiaggia ancora calda di sole e a lasciarmi andare col rumore sordo delle onde nelle orecchie.
Non pago invece questo assurdo moribondo è entrato in acqua e arranca verso quell'enorme scoglio nero.
Oh certo, ora capisco...era il tassello mancante.
In effetti questa storia era incominciata giusto così , con un famelico squalo che fuggiva dall'acquario di Sydney e in barba ad ogni tipo di previsione scendeva verso le fredde acque artiche macinando migliaia di chilometri sotto la sua pancia bianca.
Come si faccia poi a scambiare uno squalo per uno scoglio, direte voi, è un gran mistero.
Gli scogli non hanno la bocca.
Non hanno denti.
Non scompiano negli abissi dopo aver inghiottito la loro preda.
lunedì 1 dicembre 2008
Lo statuto societario, questa intricata e magnifica architettura di regole, cavilli e articoli, questo mostro di ingegno che estende i suoi vibranti tentacoli su tutti i casi, le opzioni le possibili situazini, contempla anche la situazione presente: la dove due schieramenti si schierino in parità e non si sia riusciti a pervenire ad un accordo, l'ultima parola, la decisione critica ed effettiva è lasciata nelle mani del soggettista, a meno che questi non sia un semplice sceneggiatore.
Proprio così: il soggettista a cui è negato, come ricorderete, il diritto di esprimere un voto qualora la votazione prometta di risolversi con esito di non parità, diventa il personaggio risolutivo in caso di bilanciamento perfetto e statico delle forze in conflitto.
Traduco: posso finire la storia come più mi aggrada, facendo di mr. Kelly quello che più ritengo opportuno.
Capirete anche voi che lo statuto societario, così vario nella casistica ed imprevedibile nelle risoluzioni della stessa, è veramente un'opera singolare. Si dà il caso, tuttavia, che la sua oggettiva difficoltà non abbia rappresentato un freno al suo attento studio tanto da parte dell'uomo col rubino che del massimo azionista.
Sento improvvisamente i loro sguardi posarsi su di me. E con i loro occhi quelli dei presenti. Sono tornato ad essere il centro caldo del mondo. Eppure percepisco un profondo gelo, una tensione - ehm...- polare.
Anche Willie White ha deciso di rimettersi all'opera e immortala il momento: forse la redazione gli ha affidato la resa grafica di una storia sulla storia del fumetto da finire, un impegno di secondo livello insomma; un'opera verità.
"Secondo le regole dello statuto sta a Lei prendere una decisione". Dice infine il capo parlando al mio indirizzo.
Poi prosegue:" Ha libertà massima quanto agli accadimenti, ma ci sono due clausole".
Si interrompe di nuovo e mi guarda meglio. La voce è chiara e netta, non tradisce emozioni, riprende a parlare:
"L'episodio sarà conclusivo e sarà consegnato entro le 18p.m. di domani."
Le due sintetiche clausole hanno il sapore di un ultimatum.
Poi la voce del capo si addolcisce inpercettibilmente ed egli mi ricorda che comunque caldeggia il noto lieto fine con probabile etc. etc.
L'ottavo nano aspetta fino a questo punto per intercettare il mio sguardo. Lui ha idee del tutto diverse e deve essere anche telepate se riesco ad indovinare i suoi suggerimenti senza che egli debba proferire parola.
Ribadisce la sua posizione, afferma che il lieto fine di cui sopra è impensabile; che è disposto a sovvenzionare personalmente il fumetto, a fare anche una battaglia legale per impugnare la storia e strapparla alla società, che conosce i migliori avvocati, che ha i soldi per pagarli e per pagare quelli della controparte affinchè perdano.
Dice tutte queste cose e altre ancora, non dicendo nulla.
Non è che mi faccia un'impressione molto buona. Mi dà la sensazione che se lo assecondassi finirebbe coll'obbligarmi a scrivere la storia che esattamente lui vorrebbe leggere e vedere propinata al pubblico, in cui da un'episodio all'altro a campeggiare sono lui e la sua famiglia. Mi dà anche l'impressione di volermi avvertire che i suoi sono più di semplici suggerimenti. Ecco sì i suoi suggerimenti, i suoi consigli, le sue proposte sono la bambolina esterna di un sistema cinese che cela al suo interno nè più nè meno che intimidazioni. E' come se dicesse: "hai visto? Non ci facciamo frenare dall'uomo col rubino e dalla sua banda di pagliacci, figurarsi se non sappiamo trattare un pesce piccolo come te". E anche : "fai come ti diciamo noi, fai come ti dico io soprattutto, e vedrai che non avrai da preoccuparti di niente".
Mentre, finalmente, mi allontano dall'edificio mi accorgo di non avere poi così sete. Si è fatto tardi e mi attende una notte di lavoro. Penso che se non avessi incontrato l'ottavo nano e non l'avessi fissato negli occhi, avrei avuto di lui un 'immagine diversa e senz'altro migliore di quella che mi porto a casa; penso che forse il mondo di superficie lo ha cambiato rendendolo diverso da quello che era, così come, parlo dello stesso mondo, deve aver cambiato e trasformato il capo: di lui dicono, quelli che l'hanno conosciuto tempo fa, che era un giovane entusiasta, per quanto già allora esageratamente ambizioso. Mi chiedo che senso abbia lasciare un padrone per trovarsene un altro, riflessione degna di Alack Sinner fra l'altro.
Penso anche che comunque vada a finire tutta questa faccenda io sono comunque destinato a perdere: perdo se vince il capo, ma perdo anche se vince l'ottavo nano.
Ma soprattutto penso che abbandonare la costante sorveglianza nei confronti dell'ex Paul Garret da parte dei nani, sia stata un'imperdonabile imprudenza: se mr. Kelly, di fronte ad un'insuperabile difficoltà, avesse soffiato nel notorio fischietto, nessuno di loro avrebbe potuto sentirlo.
A patto che quei signori vestiti da monaci fossero effettivamente i sette nani.
Proprio così: il soggettista a cui è negato, come ricorderete, il diritto di esprimere un voto qualora la votazione prometta di risolversi con esito di non parità, diventa il personaggio risolutivo in caso di bilanciamento perfetto e statico delle forze in conflitto.
Traduco: posso finire la storia come più mi aggrada, facendo di mr. Kelly quello che più ritengo opportuno.
Capirete anche voi che lo statuto societario, così vario nella casistica ed imprevedibile nelle risoluzioni della stessa, è veramente un'opera singolare. Si dà il caso, tuttavia, che la sua oggettiva difficoltà non abbia rappresentato un freno al suo attento studio tanto da parte dell'uomo col rubino che del massimo azionista.
Sento improvvisamente i loro sguardi posarsi su di me. E con i loro occhi quelli dei presenti. Sono tornato ad essere il centro caldo del mondo. Eppure percepisco un profondo gelo, una tensione - ehm...- polare.
Anche Willie White ha deciso di rimettersi all'opera e immortala il momento: forse la redazione gli ha affidato la resa grafica di una storia sulla storia del fumetto da finire, un impegno di secondo livello insomma; un'opera verità.
"Secondo le regole dello statuto sta a Lei prendere una decisione". Dice infine il capo parlando al mio indirizzo.
Poi prosegue:" Ha libertà massima quanto agli accadimenti, ma ci sono due clausole".
Si interrompe di nuovo e mi guarda meglio. La voce è chiara e netta, non tradisce emozioni, riprende a parlare:
"L'episodio sarà conclusivo e sarà consegnato entro le 18p.m. di domani."
Le due sintetiche clausole hanno il sapore di un ultimatum.
Poi la voce del capo si addolcisce inpercettibilmente ed egli mi ricorda che comunque caldeggia il noto lieto fine con probabile etc. etc.
L'ottavo nano aspetta fino a questo punto per intercettare il mio sguardo. Lui ha idee del tutto diverse e deve essere anche telepate se riesco ad indovinare i suoi suggerimenti senza che egli debba proferire parola.
Ribadisce la sua posizione, afferma che il lieto fine di cui sopra è impensabile; che è disposto a sovvenzionare personalmente il fumetto, a fare anche una battaglia legale per impugnare la storia e strapparla alla società, che conosce i migliori avvocati, che ha i soldi per pagarli e per pagare quelli della controparte affinchè perdano.
Dice tutte queste cose e altre ancora, non dicendo nulla.
Non è che mi faccia un'impressione molto buona. Mi dà la sensazione che se lo assecondassi finirebbe coll'obbligarmi a scrivere la storia che esattamente lui vorrebbe leggere e vedere propinata al pubblico, in cui da un'episodio all'altro a campeggiare sono lui e la sua famiglia. Mi dà anche l'impressione di volermi avvertire che i suoi sono più di semplici suggerimenti. Ecco sì i suoi suggerimenti, i suoi consigli, le sue proposte sono la bambolina esterna di un sistema cinese che cela al suo interno nè più nè meno che intimidazioni. E' come se dicesse: "hai visto? Non ci facciamo frenare dall'uomo col rubino e dalla sua banda di pagliacci, figurarsi se non sappiamo trattare un pesce piccolo come te". E anche : "fai come ti diciamo noi, fai come ti dico io soprattutto, e vedrai che non avrai da preoccuparti di niente".
Mentre, finalmente, mi allontano dall'edificio mi accorgo di non avere poi così sete. Si è fatto tardi e mi attende una notte di lavoro. Penso che se non avessi incontrato l'ottavo nano e non l'avessi fissato negli occhi, avrei avuto di lui un 'immagine diversa e senz'altro migliore di quella che mi porto a casa; penso che forse il mondo di superficie lo ha cambiato rendendolo diverso da quello che era, così come, parlo dello stesso mondo, deve aver cambiato e trasformato il capo: di lui dicono, quelli che l'hanno conosciuto tempo fa, che era un giovane entusiasta, per quanto già allora esageratamente ambizioso. Mi chiedo che senso abbia lasciare un padrone per trovarsene un altro, riflessione degna di Alack Sinner fra l'altro.
Penso anche che comunque vada a finire tutta questa faccenda io sono comunque destinato a perdere: perdo se vince il capo, ma perdo anche se vince l'ottavo nano.
Ma soprattutto penso che abbandonare la costante sorveglianza nei confronti dell'ex Paul Garret da parte dei nani, sia stata un'imperdonabile imprudenza: se mr. Kelly, di fronte ad un'insuperabile difficoltà, avesse soffiato nel notorio fischietto, nessuno di loro avrebbe potuto sentirlo.
A patto che quei signori vestiti da monaci fossero effettivamente i sette nani.
sabato 29 novembre 2008
CARO LETTORE
Caro lettore, chiunque tu sia, ovunque tu sia, se mi hai seguito fino a questo punto, occorrerà ora fare un altro piccolo ulteriore sforzo. Spero verrai a breve ripagato della fatica spesa. Del resto si sà, alla fine tutti i nodi vengono al pettine, ma tale operazione richiede neceseariamente il suo tempo.
Ricorderai che l'uomo col rubino si era fatto un punto di principio che io potessi vedere l'assemblea.
Ricorderai che ha vestito, come una madre puntigliosa e premurosa, i suoi leccapiedi da monaci, per giocarmi uno scherzo, un tiro mancino, che a suo dire meritavo.
Ricorderai anche che, nonostante la mezza promessa di mostrarmi il singolo volto di ogni mio potenziale carnefice, quelli stessi volti sono rimasti fin'ora ben celati da altrettanti cappucci monacali, al punto che, molto probabilmente, avrai avuto il comprensibile sospetto che questi signori siano in realtà i famigerati monaci ombra della chiesa del reverendo Corradine o Brown che dir si voglia.
"Ma come - avrai pensato- non sono tali monaci esseri di fantasia? Personaggi di un racconto a fumetti?"
Non sono la persona giusta per rispondere a questa domanda. Quello che mi preme sottolineare è che questa gente tiene il proprio viso attentamente occultato.
Ricorderai anche, caro lettore, che nel momento critico della votazione a favore del famigerato "lieto fine con probabile prole a carico", prima dell'ingresso dell'ottavo nano, questi signori mascherati si erano alzati quasi tutti in piedi in segno di approvazione.
Solo una manciata di monaci erano rimasti seduti manifestando così una posizione contraria rispetto a quella ampiamente condivisa. Se avessimo contato questi dissidenti avremmo scoperto che erano esattamente in sette.
Il capo, l'uomo col rubino, l'ha fatto.
Capiamoci ... l'ha fatto senza dare nell'occhio, facendo finta di non attribuire importanza alcuna alla cosa, ma , comunque, l'ha fatto.
Quello che ora l'uomo col rubino si sta chiedendo è esattamente quanto segue: "chi sono quei sette tizi?"
Ora devi sapere, caro lettore, che i sette nani non appartengono all'organico degli aventi voto. Sono esterni alla associazione, non hanno quote azionarie nè potere.
Può darsi - pensa il capo - che quei sette dissidenti siano proprio i sette nani. Può darsi che si siano sostituiti a sette aventi diritto e si siano infiltrati in aula.
La cosa più semplice da fare sarebbe quindi di chiedere a loro di palesare la loro effettiva identità, di togliersi il cappuccio, di mostrare il viso.
Se quei tizi fossero realmente i sette nani , così smascherati, altro non potrebbero fare che abbandonare l'aula ; con loro sarebbe anche smascherata la loro impostura.
Perchè allora l'uomo col rubino non intima loro di farsi riconoscere?
Possiamo fare tre ipotesi, almeno a me ne vengono in mente tre.
La prima.
L'uomo col rubino teme che i sette dissidenti siano realmente i sette nani. Teme che non abbiano alcuna intenzione a sottostare ad una democratica votazione. Teme soprattutto che, nascoste sotto i loro sai ,abbiano le loro micidiali picozze e che altro non chiedano che un pretesto per usarle. Insomma smascherarli significherebbe scatenare nel senso proprio del termine una carneficina.
Seconda.
L'uomo col rubino in realtà non è preoccupato dall'identità dei sette dissidenti quanto dal fatto che se questi fossero costretti a mostrarsi sarebbe subito dopo d'uopo che, per una formale questione di trasparenza e per un conteggio appropriato dei voti, anche gli altri monaci avessero a mostrare il loro volto. Se l'uomo col rubino è un collaboratore del reverendo Corradine - Brown o addirittura il reverendo stesso, non ci sarebbe da stupirsi se i suoi simpatizzani, e cioè quasi l'intera platea, fossero monaci mosche. Uno stupido atto intimidatorio nei miei confronti equivarebbe ad un atto di auto-smascheramento dalle disastrose conseguenze.
Terza.
L'uomo col rubino non sa se i sette dissidenti siano o non siano i sette nani. Tuttavia ha fatto un calcolo preciso: sa che se non chiederà loro di mostrare il loro volto, nel computo dei voti - statuto societario alla mano - essi conteranno automaticamente come azionisti del livello più basso. Questa situazione sancirebbe una perfetta parità fra i due gruppi schierati su opposte posizioni: quello dell'ottavo nano coi suoi sette seguaci e quello proprio del capo coi suoi sostenitori.
La soluzione che risolverà il rompicapo mi ricatapulta con un ruolo decisivo entro la mischia.
Ricorderai che l'uomo col rubino si era fatto un punto di principio che io potessi vedere l'assemblea.
Ricorderai che ha vestito, come una madre puntigliosa e premurosa, i suoi leccapiedi da monaci, per giocarmi uno scherzo, un tiro mancino, che a suo dire meritavo.
Ricorderai anche che, nonostante la mezza promessa di mostrarmi il singolo volto di ogni mio potenziale carnefice, quelli stessi volti sono rimasti fin'ora ben celati da altrettanti cappucci monacali, al punto che, molto probabilmente, avrai avuto il comprensibile sospetto che questi signori siano in realtà i famigerati monaci ombra della chiesa del reverendo Corradine o Brown che dir si voglia.
"Ma come - avrai pensato- non sono tali monaci esseri di fantasia? Personaggi di un racconto a fumetti?"
Non sono la persona giusta per rispondere a questa domanda. Quello che mi preme sottolineare è che questa gente tiene il proprio viso attentamente occultato.
Ricorderai anche, caro lettore, che nel momento critico della votazione a favore del famigerato "lieto fine con probabile prole a carico", prima dell'ingresso dell'ottavo nano, questi signori mascherati si erano alzati quasi tutti in piedi in segno di approvazione.
Solo una manciata di monaci erano rimasti seduti manifestando così una posizione contraria rispetto a quella ampiamente condivisa. Se avessimo contato questi dissidenti avremmo scoperto che erano esattamente in sette.
Il capo, l'uomo col rubino, l'ha fatto.
Capiamoci ... l'ha fatto senza dare nell'occhio, facendo finta di non attribuire importanza alcuna alla cosa, ma , comunque, l'ha fatto.
Quello che ora l'uomo col rubino si sta chiedendo è esattamente quanto segue: "chi sono quei sette tizi?"
Ora devi sapere, caro lettore, che i sette nani non appartengono all'organico degli aventi voto. Sono esterni alla associazione, non hanno quote azionarie nè potere.
Può darsi - pensa il capo - che quei sette dissidenti siano proprio i sette nani. Può darsi che si siano sostituiti a sette aventi diritto e si siano infiltrati in aula.
La cosa più semplice da fare sarebbe quindi di chiedere a loro di palesare la loro effettiva identità, di togliersi il cappuccio, di mostrare il viso.
Se quei tizi fossero realmente i sette nani , così smascherati, altro non potrebbero fare che abbandonare l'aula ; con loro sarebbe anche smascherata la loro impostura.
Perchè allora l'uomo col rubino non intima loro di farsi riconoscere?
Possiamo fare tre ipotesi, almeno a me ne vengono in mente tre.
La prima.
L'uomo col rubino teme che i sette dissidenti siano realmente i sette nani. Teme che non abbiano alcuna intenzione a sottostare ad una democratica votazione. Teme soprattutto che, nascoste sotto i loro sai ,abbiano le loro micidiali picozze e che altro non chiedano che un pretesto per usarle. Insomma smascherarli significherebbe scatenare nel senso proprio del termine una carneficina.
Seconda.
L'uomo col rubino in realtà non è preoccupato dall'identità dei sette dissidenti quanto dal fatto che se questi fossero costretti a mostrarsi sarebbe subito dopo d'uopo che, per una formale questione di trasparenza e per un conteggio appropriato dei voti, anche gli altri monaci avessero a mostrare il loro volto. Se l'uomo col rubino è un collaboratore del reverendo Corradine - Brown o addirittura il reverendo stesso, non ci sarebbe da stupirsi se i suoi simpatizzani, e cioè quasi l'intera platea, fossero monaci mosche. Uno stupido atto intimidatorio nei miei confronti equivarebbe ad un atto di auto-smascheramento dalle disastrose conseguenze.
Terza.
L'uomo col rubino non sa se i sette dissidenti siano o non siano i sette nani. Tuttavia ha fatto un calcolo preciso: sa che se non chiederà loro di mostrare il loro volto, nel computo dei voti - statuto societario alla mano - essi conteranno automaticamente come azionisti del livello più basso. Questa situazione sancirebbe una perfetta parità fra i due gruppi schierati su opposte posizioni: quello dell'ottavo nano coi suoi sette seguaci e quello proprio del capo coi suoi sostenitori.
La soluzione che risolverà il rompicapo mi ricatapulta con un ruolo decisivo entro la mischia.
mercoledì 26 novembre 2008
Vi dico la verità: non me lo immaginavo così grosso. Basso sì, ma credevo tutto sommato che non avesse quella mole. E' il solito errore che facciamo in molti quando si parla di nani, pensiamo a quelli di Disney o a quelli da giardino. A dire il vero questo non pare nemmeno un nano, finchè non parla almeno. Non pare tanto un nano per quel costume da lottatore completamente fuori luogo qui all'ultimo piano del garattacielo Renzo Piano a Sydney, sala conferenze.
La voce dicevo, quella lo riqualifica subito come un nano, perchè è profonda e cavernosa e ricorda immediatamente gallerie sotterranee e miniere. E' come se vi chiedessero di tradurre il concetto di miniera in un suono: piccozze al lavoro? Assordanti perforatrici pneumatiche? No credete a me, la voce del nano dice di più e dice meglio.
Ho detto nano? Forse volevo dire il nano.Quale? L'ottavo, naturalmente.
Ovviamente il capo osserva il nuovo arrivato con un misto di disagio, stizza e apprensione. Tutti stati d'animo mal celati. Fra l'altro, ora che i miei occhi si sono riabituati alla luce diurna, posso constatare che non mi ero affatto sbagliato riguardo al look scelto dal capo e relativa descrizione. Non manca nemmeno l'anello rosso rubino che manda sinistri scintilli ad ogni movimento delle mani.
"Non mi aspettavo di vederla" commenta un po' imbarazzato il capo, ma senza scomporsi eccessivamente.
"Certo che nò, maledetto bastardo -tuona il nano- pensavi di fregarmi eh? Di impedirmi di partecipare a questa vostra stupida riunione del ..."
Il capo lo invita a moderare i termini, ma è palesamente a disagio. Deve essere rimasto particolarmente impressionato dal modo in cui, entrando, il nano ha spalmato su parete e pavimento, rispettivamente, le due guardie del corpo che a seguito del mio ingresso si erano evidentemente messe a pattugliare l'entrata della sala.
In effetti anche il costume da lottatore fa la sua porca figura. E la mole; credetemi la mole non è affatto irrilevante.
Il barbuto lottatore non si calma affatto. Ha un tono di voce altissimo e articola il suo atto di accusa fra imprecazioni e bestemmie.
Il capo nega ogni capo d'accusa, confidando che non ci siano prove concrete che lo possano incriminare.
Cosa vuole in sostanza quel dannato minatore?
Il capo lo sa benissimo, ma il nano lo ricorda a lui , a me e a tutta la platea vestita carnevalescamente da monaci. Dice, il nano, puntando e muovendo un dito che ingaggia una traiettoria che ci vorrebbe includere tutti quanti, queste testuali parole:
"Nutro un debito molto serio verso Paul Garret o come diavolo si fa chiamare ora. Non vi libererete di lui in quel modo disonorevole, ridicolo e abusato che chiamate lieto fine e non so cos'altro. No per Dio! Gli tributerete onore e rispetto!L'onore e il rispetto che gli dovete!"
In effetti la platea è sensibilmente impressionata, al punto che si sono riseduti tutti nei loro posti. A guardarli si ha l'impressione che, di fronte alla furia e alle minacce di quel piccolo (d'altezza) uomo muscoloso, vorrebbero tutti scomparire, sprofondare.
Questo depone a favore della loro umanità.: se fossero i veri monaci di Corradine- Brown non tradirebbero sentimenti così umani. Ma forse mi sbaglio.
Ora la palla rimbalza al capo. Il capo, già ve l'ho detto non è uno che si fa impressionare. Certo, ciò non significa che sia spavaldo e sottovaluti i suoi avversari; dico solo che non si fa impressionare, sa il fatto suo. Ed ha una carta da giocare. Una carta vincente, vi direbbe lui. Anzi ad essere precisi sarebbe da scrivere due carte: statuto e numeri.
Statuto:
Lo statuto afferma che in questi casi si procede ad una votazione. Quello che voi non sapete, voi lettori dico, ma che in questa aula sanno tutti, dico proprio tutti è che non tutti i voti sono uguali:
Il voto dell'ottavo nano, che è il maggiore azionista della compagnia - per questo la sua assenza risultava in qualche modo sospetta- vale ancora di più del voto del capo.
Il voto del capo vale molto di più di quello di un azionista normale.
Ci vogliono cioè molti azionisti normali per raggiungere il valore percentuale espresso dal voto del capo.
Fra gli azionisti normali alcune persone risultano più importanti di altre e in proporzione i loro voti.
Direte voi: se l'ottavo nano è il tizio con più potere perchè non fa lui il capo?
Il fatto è che il capo riconosciuto, quello col rubino tanto per capirci, può di solito avvalersi di una maggioranza compatta e fedele.
E, con ciò dicendo, abbiamo anche già spiegato la carta chiamata "numeri".
La voce dicevo, quella lo riqualifica subito come un nano, perchè è profonda e cavernosa e ricorda immediatamente gallerie sotterranee e miniere. E' come se vi chiedessero di tradurre il concetto di miniera in un suono: piccozze al lavoro? Assordanti perforatrici pneumatiche? No credete a me, la voce del nano dice di più e dice meglio.
Ho detto nano? Forse volevo dire il nano.Quale? L'ottavo, naturalmente.
Ovviamente il capo osserva il nuovo arrivato con un misto di disagio, stizza e apprensione. Tutti stati d'animo mal celati. Fra l'altro, ora che i miei occhi si sono riabituati alla luce diurna, posso constatare che non mi ero affatto sbagliato riguardo al look scelto dal capo e relativa descrizione. Non manca nemmeno l'anello rosso rubino che manda sinistri scintilli ad ogni movimento delle mani.
"Non mi aspettavo di vederla" commenta un po' imbarazzato il capo, ma senza scomporsi eccessivamente.
"Certo che nò, maledetto bastardo -tuona il nano- pensavi di fregarmi eh? Di impedirmi di partecipare a questa vostra stupida riunione del ..."
Il capo lo invita a moderare i termini, ma è palesamente a disagio. Deve essere rimasto particolarmente impressionato dal modo in cui, entrando, il nano ha spalmato su parete e pavimento, rispettivamente, le due guardie del corpo che a seguito del mio ingresso si erano evidentemente messe a pattugliare l'entrata della sala.
In effetti anche il costume da lottatore fa la sua porca figura. E la mole; credetemi la mole non è affatto irrilevante.
Il barbuto lottatore non si calma affatto. Ha un tono di voce altissimo e articola il suo atto di accusa fra imprecazioni e bestemmie.
Il capo nega ogni capo d'accusa, confidando che non ci siano prove concrete che lo possano incriminare.
Cosa vuole in sostanza quel dannato minatore?
Il capo lo sa benissimo, ma il nano lo ricorda a lui , a me e a tutta la platea vestita carnevalescamente da monaci. Dice, il nano, puntando e muovendo un dito che ingaggia una traiettoria che ci vorrebbe includere tutti quanti, queste testuali parole:
"Nutro un debito molto serio verso Paul Garret o come diavolo si fa chiamare ora. Non vi libererete di lui in quel modo disonorevole, ridicolo e abusato che chiamate lieto fine e non so cos'altro. No per Dio! Gli tributerete onore e rispetto!L'onore e il rispetto che gli dovete!"
In effetti la platea è sensibilmente impressionata, al punto che si sono riseduti tutti nei loro posti. A guardarli si ha l'impressione che, di fronte alla furia e alle minacce di quel piccolo (d'altezza) uomo muscoloso, vorrebbero tutti scomparire, sprofondare.
Questo depone a favore della loro umanità.: se fossero i veri monaci di Corradine- Brown non tradirebbero sentimenti così umani. Ma forse mi sbaglio.
Ora la palla rimbalza al capo. Il capo, già ve l'ho detto non è uno che si fa impressionare. Certo, ciò non significa che sia spavaldo e sottovaluti i suoi avversari; dico solo che non si fa impressionare, sa il fatto suo. Ed ha una carta da giocare. Una carta vincente, vi direbbe lui. Anzi ad essere precisi sarebbe da scrivere due carte: statuto e numeri.
Statuto:
Lo statuto afferma che in questi casi si procede ad una votazione. Quello che voi non sapete, voi lettori dico, ma che in questa aula sanno tutti, dico proprio tutti è che non tutti i voti sono uguali:
Il voto dell'ottavo nano, che è il maggiore azionista della compagnia - per questo la sua assenza risultava in qualche modo sospetta- vale ancora di più del voto del capo.
Il voto del capo vale molto di più di quello di un azionista normale.
Ci vogliono cioè molti azionisti normali per raggiungere il valore percentuale espresso dal voto del capo.
Fra gli azionisti normali alcune persone risultano più importanti di altre e in proporzione i loro voti.
Direte voi: se l'ottavo nano è il tizio con più potere perchè non fa lui il capo?
Il fatto è che il capo riconosciuto, quello col rubino tanto per capirci, può di solito avvalersi di una maggioranza compatta e fedele.
E, con ciò dicendo, abbiamo anche già spiegato la carta chiamata "numeri".
mercoledì 19 novembre 2008
"E' ridicolo, grottesco, assurdo!"
Mi si è sciolta la lingua; come talvolta mi capita l'immedesimazione con quel disgraziato di Ned Kelly risulta fugace, ma intensa; istantanea, ma totale. Lui parla per mezzo di me.
Dicevo che non accade molto spesso, ma quando accade il fatto ha la forza dirompente di una mareggiata.
Willie White ha interrotto la sua opera di pittura -straordinaria al buio. Le mani brillano, ma sono ferme. Sento su di me lo sguardo furioso del capo e quello dei leccapiedi che ha riunito alle mie spalle. Ecco cosa sembrano: un plotone di esecuzione con me messo dalla parte sbagliata, pronto a farmi sparare dritto nella schiena.
"Eì un'autentica stronzata"aggiungo.
Non accade molto spesso, dicevo e non dura mai a lungo. Giusto il tempo di ribadire il concetto e torno in me, pienamente in me, assolutamente in me.
Nessuno mi spara. Il breve attimo di silenzio è interrotto dalla voce calma e risoluta del capo. Le sue parole sono accompagnata dal crescere di una luce sempre più violenta e sempre più forte, più intensa, al punto che ferisce gli occhi, dà disagio fisico, provoca fitte alla testa.
Un trucco ben congegnato, una tempistica perfetta. Il capo ha finalmente premuto il bottone che rimuove i pannelli oscuranti dalle finestre. E' il tempo della votazione, il tempo del confronto e quel becero maestro di cerimonie senz'anima desidera che io possa vedere i volti dei carnefici, uno per uno.
Oltre al suo, ben inteso.
Il capo dice: "Che lei sia o non sia d'accordo con l'opzione del lieto fine colla prole a carico, non ha importanza. C'è qui un'assemblea, seduta alle sue spalle, pronta a votare. L'assemblea è stata convocata, secondo statuto, per esprimere un verdetto. La domanda che io pongo loro ,ora, formalmente è se condividono la proposta del lieto fine nelle modalità sopra proposte e illustrate. Faccio presente che il nostro statuto non contempla la possibilità che lei incida sull'esito della votazione, detto altrimenti il suo voto è nullo.
"Chi è favorevole alla mia proposta si alzi in piedi" dice il capo rivolto al suo pubblico e poi rivolto a me, con un tono di voce meno alto, ma sufficientemente alto da poter essere comunque sentito da tutti ,mi consiglia di girarmi e di non perdermi la scena.
In effetti la scena ha un suo perchè. I cento e più sedili dell'aula-conferenze sono occupati da un centinaio di...monaci. Sì signori, proprio così, tutti in saio, con tanto di cappuccio a coprire teste e celare visi; alla faccia della presunta trasparenza. Eccoli lì i monaci di Corradine... da non crederci. E perchè poi? Quale il senso di questa perfetta buffonata?
Particolare aggiuntivo non irrilevante: i monaci sono tutti in piedi.
A voler essere precisi dovrei dire quasi tutti; ce ne è in effetti una manciata rimasta seduta: immobil come delle statue di sale, tanto immobili da parere finti
"Spero che avrà apprezzato questa mia piccola messa in scena" commenta il capo sorridendo e strofinandosi le mani. Dice che era il minimo che potesse fare. Una piccola soddisfazione per riaversi di tanti problemi creatigli da me e Ned Kelly. Dice che dal colorito bianco assunto dal mio volto il suo scherzetto ha sortito l'effetto voluto. Mi chiede se ho paura. Dice che i monaci in fondo sono mie creature e che temerli da parte mia equivale a temere me stesso. Mi consiglia un'analista. Poi cambia tono e insinua che la messa in scena è finalizzata a sdrammatizzare una faccenda che io, secondo lui, sto prendendo troppo seriamente e personalmente; è il tentativo di vivere in modo carnevalesco quella che altrimenti io trasformerei in una piccola, rancorosa tragedia privata.
Dice anche che può darsi che tutti loro siano accoliti e simpatizzanti del Reverendo Corradine e che questo è il suo e il loro modo per dirmi che questa storia che io ho portato fin troppo oltre non si ha da scrivere.
O forse semplicemente l'azienda ha deciso di lanciare un nuovo stile, una nuova moda, ricchi gadget e cotillon.
Insomma parla molto per non dire niente.
Finchè qualcuno, dall'esterno, con molto fragore e scarsa educazione, abbatte la porta.
Mi si è sciolta la lingua; come talvolta mi capita l'immedesimazione con quel disgraziato di Ned Kelly risulta fugace, ma intensa; istantanea, ma totale. Lui parla per mezzo di me.
Dicevo che non accade molto spesso, ma quando accade il fatto ha la forza dirompente di una mareggiata.
Willie White ha interrotto la sua opera di pittura -straordinaria al buio. Le mani brillano, ma sono ferme. Sento su di me lo sguardo furioso del capo e quello dei leccapiedi che ha riunito alle mie spalle. Ecco cosa sembrano: un plotone di esecuzione con me messo dalla parte sbagliata, pronto a farmi sparare dritto nella schiena.
"Eì un'autentica stronzata"aggiungo.
Non accade molto spesso, dicevo e non dura mai a lungo. Giusto il tempo di ribadire il concetto e torno in me, pienamente in me, assolutamente in me.
Nessuno mi spara. Il breve attimo di silenzio è interrotto dalla voce calma e risoluta del capo. Le sue parole sono accompagnata dal crescere di una luce sempre più violenta e sempre più forte, più intensa, al punto che ferisce gli occhi, dà disagio fisico, provoca fitte alla testa.
Un trucco ben congegnato, una tempistica perfetta. Il capo ha finalmente premuto il bottone che rimuove i pannelli oscuranti dalle finestre. E' il tempo della votazione, il tempo del confronto e quel becero maestro di cerimonie senz'anima desidera che io possa vedere i volti dei carnefici, uno per uno.
Oltre al suo, ben inteso.
Il capo dice: "Che lei sia o non sia d'accordo con l'opzione del lieto fine colla prole a carico, non ha importanza. C'è qui un'assemblea, seduta alle sue spalle, pronta a votare. L'assemblea è stata convocata, secondo statuto, per esprimere un verdetto. La domanda che io pongo loro ,ora, formalmente è se condividono la proposta del lieto fine nelle modalità sopra proposte e illustrate. Faccio presente che il nostro statuto non contempla la possibilità che lei incida sull'esito della votazione, detto altrimenti il suo voto è nullo.
"Chi è favorevole alla mia proposta si alzi in piedi" dice il capo rivolto al suo pubblico e poi rivolto a me, con un tono di voce meno alto, ma sufficientemente alto da poter essere comunque sentito da tutti ,mi consiglia di girarmi e di non perdermi la scena.
In effetti la scena ha un suo perchè. I cento e più sedili dell'aula-conferenze sono occupati da un centinaio di...monaci. Sì signori, proprio così, tutti in saio, con tanto di cappuccio a coprire teste e celare visi; alla faccia della presunta trasparenza. Eccoli lì i monaci di Corradine... da non crederci. E perchè poi? Quale il senso di questa perfetta buffonata?
Particolare aggiuntivo non irrilevante: i monaci sono tutti in piedi.
A voler essere precisi dovrei dire quasi tutti; ce ne è in effetti una manciata rimasta seduta: immobil come delle statue di sale, tanto immobili da parere finti
"Spero che avrà apprezzato questa mia piccola messa in scena" commenta il capo sorridendo e strofinandosi le mani. Dice che era il minimo che potesse fare. Una piccola soddisfazione per riaversi di tanti problemi creatigli da me e Ned Kelly. Dice che dal colorito bianco assunto dal mio volto il suo scherzetto ha sortito l'effetto voluto. Mi chiede se ho paura. Dice che i monaci in fondo sono mie creature e che temerli da parte mia equivale a temere me stesso. Mi consiglia un'analista. Poi cambia tono e insinua che la messa in scena è finalizzata a sdrammatizzare una faccenda che io, secondo lui, sto prendendo troppo seriamente e personalmente; è il tentativo di vivere in modo carnevalesco quella che altrimenti io trasformerei in una piccola, rancorosa tragedia privata.
Dice anche che può darsi che tutti loro siano accoliti e simpatizzanti del Reverendo Corradine e che questo è il suo e il loro modo per dirmi che questa storia che io ho portato fin troppo oltre non si ha da scrivere.
O forse semplicemente l'azienda ha deciso di lanciare un nuovo stile, una nuova moda, ricchi gadget e cotillon.
Insomma parla molto per non dire niente.
Finchè qualcuno, dall'esterno, con molto fragore e scarsa educazione, abbatte la porta.
venerdì 14 novembre 2008
"Avrei dovuto ucciderti molti anni fa".
Mi guarda sorridendo, per come può sorridere la sua faccia deturpata e mostruosa.
Mi guarda e con calma dice: scacco matto.
Scacco matto: i buoni perdono, i cattivi vincono.
Scacco matto.
Questo uomo quindici anni fa ha cercato di uccidermi.
Forse mi sbaglio sono solo dieci anni; o piuttosto venti.
In effetti a volte il tempo mi pare sia passato troppo in fretta.
Del resto, altre volte il tempo pare non essere mai passato.
Prendiamo questa partita: sarebbe forse un errore affermare che è durata dieci anni? O il doppio?
Direi di no. Ed ora io ho perso, questa è la morale. Lui vince ed io perdo.
Inoltre quindici anni fa, o poco meno o poco più, anch'io ho tentato di ucciderlo. Ci sono andato molto vicino, o almeno così credevo. Ho fatto fuori molti dei suoi ragazzi, ho danneggiato alcune delle sue proprietà. Ma ora, tutto ciò non pare avere molta importanza.
Sua moglie e la mia parlano amabilmente di un sacco di cose. Sentiamo le loro voci arrivare dalla spiaggia, fra il battere ritmico delle onde sul bagnasciiuga, mentre osservano giocare i bambini.
Mio figlio e il ragazzo- mosca sono grandi amici. Inseparabili. L'aspetto del secondo non condiziona minimamente il primo.La qual'cosa non manca mai di stupirmi. Forse il mio ragazzo medita di darsi alla politica, coi progressisti e per lui questo altro non è che un buon esercizio.
Nemmeno il cane abbaia più al ragazzo-mosca. Anzi pare nutrire per lui una particolare preferenza, un profondo affetto.
Sembriamo un felice esempio di famiglia allargata.
Quest'uomo a cui i suoi propri folli esperimenti hanno deturpato il volto, è lo stesso uomo che circa quindici anni fa ha minacciato Adelaide e il continente. L'uomo che tutti chiamano e conoscono come reverendo Corradine, anche se in realtà si chiama Jaohn Brown, come lo sceriffo cattivo di una vecchia canzona antillese.
Beve la mia birra, fuma il mio tabacco.
Ammorba la mia vita e quella della mia famiglia.
Mi impone la sua presenza, la vista del suo viso mutante, inguatrdabile, effetto collaterale della sua stessa follia.
Insiste per giocare a scacchi.
Talvolta vince , talvolta perde.
Ma è chiaro che ha vinto l'unica partita che meritava di essere vinta.
E' per questo che sorride sempre.
Avrei dovuto ucciderlo tanti anni fa.
Mi guarda sorridendo, per come può sorridere la sua faccia deturpata e mostruosa.
Mi guarda e con calma dice: scacco matto.
Scacco matto: i buoni perdono, i cattivi vincono.
Scacco matto.
Questo uomo quindici anni fa ha cercato di uccidermi.
Forse mi sbaglio sono solo dieci anni; o piuttosto venti.
In effetti a volte il tempo mi pare sia passato troppo in fretta.
Del resto, altre volte il tempo pare non essere mai passato.
Prendiamo questa partita: sarebbe forse un errore affermare che è durata dieci anni? O il doppio?
Direi di no. Ed ora io ho perso, questa è la morale. Lui vince ed io perdo.
Inoltre quindici anni fa, o poco meno o poco più, anch'io ho tentato di ucciderlo. Ci sono andato molto vicino, o almeno così credevo. Ho fatto fuori molti dei suoi ragazzi, ho danneggiato alcune delle sue proprietà. Ma ora, tutto ciò non pare avere molta importanza.
Sua moglie e la mia parlano amabilmente di un sacco di cose. Sentiamo le loro voci arrivare dalla spiaggia, fra il battere ritmico delle onde sul bagnasciiuga, mentre osservano giocare i bambini.
Mio figlio e il ragazzo- mosca sono grandi amici. Inseparabili. L'aspetto del secondo non condiziona minimamente il primo.La qual'cosa non manca mai di stupirmi. Forse il mio ragazzo medita di darsi alla politica, coi progressisti e per lui questo altro non è che un buon esercizio.
Nemmeno il cane abbaia più al ragazzo-mosca. Anzi pare nutrire per lui una particolare preferenza, un profondo affetto.
Sembriamo un felice esempio di famiglia allargata.
Quest'uomo a cui i suoi propri folli esperimenti hanno deturpato il volto, è lo stesso uomo che circa quindici anni fa ha minacciato Adelaide e il continente. L'uomo che tutti chiamano e conoscono come reverendo Corradine, anche se in realtà si chiama Jaohn Brown, come lo sceriffo cattivo di una vecchia canzona antillese.
Beve la mia birra, fuma il mio tabacco.
Ammorba la mia vita e quella della mia famiglia.
Mi impone la sua presenza, la vista del suo viso mutante, inguatrdabile, effetto collaterale della sua stessa follia.
Insiste per giocare a scacchi.
Talvolta vince , talvolta perde.
Ma è chiaro che ha vinto l'unica partita che meritava di essere vinta.
E' per questo che sorride sempre.
Avrei dovuto ucciderlo tanti anni fa.
lunedì 10 novembre 2008
Lieto Fine con Probabile Prole a Carico
Emetto giusto un suono quello della prima lettera. E' una vocale : una I. Vorrei dire, starei per dire"Io" per poi aggiungere qualcos'altro, qualsiasi altra cosa, dettata dall'ispirazione del momento. Ma il suono muore lì a mezz'aria.
Sarà capitato anche a voi. Se dite una breve lettera ad alta voce, senza però prolungarne il suono, come se doveste subito aggiungerci una seconda lettera e poi una terza, a formare una sillaba e poi di seguito una parola , una frase, un discorso, se vi interrompete bruscamente dopo la prima lettera e vi azzittite avrete l'impressione che quella lettera non sia mai stata pronunciata.
Dico la mia I, ma non la sente nessuno.
Perchè mi sono interrotto? Facile: il capo ha deciso di porre fine alla snervante attesa, dovuta al mio meditabondo silenzio, prendendo la parola.
Lui parla, io taccio. Niente colpi di testa da partedi mia. Meglio se lui parla. Io e Lui non siamo in competizione. Non ha senso competere con lui, è una guerra persa in partenza. Meglio fargli dire tutto quello che ha da dire e poi togliersi di mezzo, abbandonare la festa, il processo, la farsa e farsi una birra in santapace.
Fra l'altro so cosa sta per dire. L'avrebbe detto comunque, solo se io avessi detto qualcosa avrebbe fatto la sua programmata sparata con un po' più di ritardo. Stando io zitto tutto procede molto più velocemente e agevolmente. Il suplizio è più sopportabile per tutti, me incluso.
Capo incluso. Pubblico incluso, credo. A meno che il pubblico non ami questo genere di situazioni frustranti e imbarazzanti, a meno che dico, non sia un pubblico di vampiri perennemente assetato di emozioni forti o meno forti che siano, parlo delle emozioni.
Ma non penso sia il caso; credo siano lavoratori e uomini d'affari: per loro perdere tempo è un grave vizio, il peggiore forse.
Ecco cosa dice il capo: " Vedo che tace e voglio trarla d'impaccio. Le farò una proposta che non potrà rifiutare. Credo che lei sappia già cosa intendo proporle. E' un pacchetto noto, molto usato, molto sicuro. Lo si vende e lo si acquista sempre nello stesso formato, ma ciò non significa che il prodotto non sia suscettibile di qualche modifica e adattamento. Anzi sono l'elasticità e la flessibiltà del prodotto a renderlo vincente.
Per mettere fine a questa sua storiella inconcludente e dispendiosa e a suo modo sovversiva e di cattivo esempio, le si propone , le si consiglia, ma badi in modo convinto, quasi ferreo, di optare per un LietoFine con Probabile Prole a carico".
Non batto ciglio.
Il capo continua: "Una bella casetta sull'oceano, una moglie, dei bambini, un cane.
Non le piace la casetta? Possiamo sostituirla con un camper con veranda o una vecchia roulotte affossata, ma funzionale.
Sono passati... diciamo quindici anni? Preferisce dieci? Venti? ...Per me è uguale... e il suo personaggio, quello che ora ci dà un sacco di noie perchè si ostina a voler finire la storia a modo suo, quel Kelly - è così che si fa chiamare no?- beh quel Kelly ha messo la testa a posto.
Basta fughe, sparatorie, vampiri, preti folli e queste buffonate. Il nostro uomo ha capito il senso vero della vita, i valori profondi e si appresta a finire in modo dignitoso il suo tempo.
Non dobbiamo entrare nel merito della facenda, dire che lavoro fa, come si chiamano i marmocchi o di che colore è il cane. L'importante è dare l'idea di un uomo pacificato con se stesso e con gli altri."
Sò dove vuole arrivare.
Dice il capo che che questo salto in avanti, nel futuro, permette di riprendere la storia un domani, qualora le statistiche d'acquisto e gli indici di gradimento indichino sia il caso di farlo.
E' uno stratagemma, dice il capo, che allontanando gli eventi nel tempo rende meno urgenti spiegarli.
E'uno stratagemma che il suo gruppo editoriale ha già usato 665 volte con successo.
Nel 20% dei casi, le storie sono state riprese e ampliate con le modalità sopra esposte.
E' una tipologia di finale, LFcPPaC, che mi lascerebbe, insiste il capo, perfino la possibilità di riunire in rituali e frequenti partite a carte o a scacchi, ovviamente sublimazione metaforica del conflitto, protagonista e antagonista della storia.
Mentre magari le loro mogli scambiano pettegolezzi davanti ad una tazza di caffè
E i loro figli giocano assieme sulla spiaggia.
Sarà capitato anche a voi. Se dite una breve lettera ad alta voce, senza però prolungarne il suono, come se doveste subito aggiungerci una seconda lettera e poi una terza, a formare una sillaba e poi di seguito una parola , una frase, un discorso, se vi interrompete bruscamente dopo la prima lettera e vi azzittite avrete l'impressione che quella lettera non sia mai stata pronunciata.
Dico la mia I, ma non la sente nessuno.
Perchè mi sono interrotto? Facile: il capo ha deciso di porre fine alla snervante attesa, dovuta al mio meditabondo silenzio, prendendo la parola.
Lui parla, io taccio. Niente colpi di testa da partedi mia. Meglio se lui parla. Io e Lui non siamo in competizione. Non ha senso competere con lui, è una guerra persa in partenza. Meglio fargli dire tutto quello che ha da dire e poi togliersi di mezzo, abbandonare la festa, il processo, la farsa e farsi una birra in santapace.
Fra l'altro so cosa sta per dire. L'avrebbe detto comunque, solo se io avessi detto qualcosa avrebbe fatto la sua programmata sparata con un po' più di ritardo. Stando io zitto tutto procede molto più velocemente e agevolmente. Il suplizio è più sopportabile per tutti, me incluso.
Capo incluso. Pubblico incluso, credo. A meno che il pubblico non ami questo genere di situazioni frustranti e imbarazzanti, a meno che dico, non sia un pubblico di vampiri perennemente assetato di emozioni forti o meno forti che siano, parlo delle emozioni.
Ma non penso sia il caso; credo siano lavoratori e uomini d'affari: per loro perdere tempo è un grave vizio, il peggiore forse.
Ecco cosa dice il capo: " Vedo che tace e voglio trarla d'impaccio. Le farò una proposta che non potrà rifiutare. Credo che lei sappia già cosa intendo proporle. E' un pacchetto noto, molto usato, molto sicuro. Lo si vende e lo si acquista sempre nello stesso formato, ma ciò non significa che il prodotto non sia suscettibile di qualche modifica e adattamento. Anzi sono l'elasticità e la flessibiltà del prodotto a renderlo vincente.
Per mettere fine a questa sua storiella inconcludente e dispendiosa e a suo modo sovversiva e di cattivo esempio, le si propone , le si consiglia, ma badi in modo convinto, quasi ferreo, di optare per un LietoFine con Probabile Prole a carico".
Non batto ciglio.
Il capo continua: "Una bella casetta sull'oceano, una moglie, dei bambini, un cane.
Non le piace la casetta? Possiamo sostituirla con un camper con veranda o una vecchia roulotte affossata, ma funzionale.
Sono passati... diciamo quindici anni? Preferisce dieci? Venti? ...Per me è uguale... e il suo personaggio, quello che ora ci dà un sacco di noie perchè si ostina a voler finire la storia a modo suo, quel Kelly - è così che si fa chiamare no?- beh quel Kelly ha messo la testa a posto.
Basta fughe, sparatorie, vampiri, preti folli e queste buffonate. Il nostro uomo ha capito il senso vero della vita, i valori profondi e si appresta a finire in modo dignitoso il suo tempo.
Non dobbiamo entrare nel merito della facenda, dire che lavoro fa, come si chiamano i marmocchi o di che colore è il cane. L'importante è dare l'idea di un uomo pacificato con se stesso e con gli altri."
Sò dove vuole arrivare.
Dice il capo che che questo salto in avanti, nel futuro, permette di riprendere la storia un domani, qualora le statistiche d'acquisto e gli indici di gradimento indichino sia il caso di farlo.
E' uno stratagemma, dice il capo, che allontanando gli eventi nel tempo rende meno urgenti spiegarli.
E'uno stratagemma che il suo gruppo editoriale ha già usato 665 volte con successo.
Nel 20% dei casi, le storie sono state riprese e ampliate con le modalità sopra esposte.
E' una tipologia di finale, LFcPPaC, che mi lascerebbe, insiste il capo, perfino la possibilità di riunire in rituali e frequenti partite a carte o a scacchi, ovviamente sublimazione metaforica del conflitto, protagonista e antagonista della storia.
Mentre magari le loro mogli scambiano pettegolezzi davanti ad una tazza di caffè
E i loro figli giocano assieme sulla spiaggia.
mercoledì 5 novembre 2008
DIFESA, SECONDA PARTE
Era un episodio con una sua forza interna: il grande gigante di rifiuti che terrorizzava Alice Springs, dopo essere uscito da qualche impensabile piega del Simpson desert o dalle Olgas. Mi sarebbe piaciuto vedere, ora che mi ci fate pensare, cosa sarebbe diventato nelle mani capaci di Willie White.
Ma il buon Willie ora non c'entra, come non c'entrano loro, gli aborigeni.
Torniamo al capo, torniamo a noi.
Basterà un mea culpa generale? Si accontenterà di tanto e in fondo di così poco, l'uomo dal naso aquilino e dal rubino intonato alla cravatta? Qual'è il suo vero scopo? A cosa mira?
E' vero la storia doveva essere semplice e lineare.
E invece è così astrusa e complessa che qualcuno la ha perfino definita delirante.
Le citazioni dovevano essere poche e facilmente comprensibili.
E invece esse formano un sottotesto esteso e intricato.
Congedare Paul Garret doveva risultare, qualora se ne fosse presentata l'occorrenza, una pratica semplice ed indolore ed egli invece è ancora in giro. Ancora vivo e con un nome diverso, vale a dire un'altra identità.
Mi chiedo: hanno un punto debole le lagnanze del capo? E' possibile fare breccia nel muro delle sue solidissime critiche? Come posso impostare la mia difesa?
Sarebbe sbagliato smentire l'evidenza. Sbagliato ai fini che mi propongo; cioè, in concreto, antiproducente.
Posso lavorare sul perchè, a patto che io riesca a pensare ad una velocità considerevole. Il silenzio che già pesa, in attesa della mia risposta, non può protrarsi in eterno. E nemmeno a lungo. Se non sarò io ad interromperlo potrebbe essere qualcun'altro e con esiti a me ignoti. Dicono di essere gente per bene, rispettabile. Tuttavia per me sono solo presenze nel buio. Potrebbero decidere oggi di infrangere il ferreo codice etico delle persone civili.
La tensione che sale istante dopo istante, percepibile e palpabile nell'aria scura, amplificata dal silenzio, rende questa possibilità tutt'altro che remota.
Quale possibilità? Ovvio:la possibilità che mi saltino addosso, che mi sbranino che mi facciano sparire.
La mia parte razionale mi grida di non lasciarmi influenzare, di non farmi atterrire. Questi sospetti, dice, sono dovuti al contesto inconsueto e sinistro.
E, dice, se il contesto è stato appositamente preparato in questo modo è per confondermi ed intimorirmi.
E se si vuole confondere una persona lo si fa per disarmarla dai suoi buoni argomenti.
In conclusione, da qualche parte devo avere sicuramente dei buoni argomenti, altrimenti non avrebbero messo in piedi tutto questo macchinoso teatro di tensione. Ma dove diavolo sono questi buoni argomenti, che sicuramente ho? Perchè non li trovo?
Concentrati sul perchè, ragiona. Non farti intimorire, non farti suggestionare.
Provo un argomento:"E' la vostra casa rivale. Mi hanno pagato perchè boicottassi in toto il vostro progetto. Pagavano bene, Erano anche simpatici..."
Mi accorgo che è controproducente, fortuna che la prova era solo mentale.
"Cosa vi aspettavate? Sono evaso da un noto manicomio criminale, l'unico in realtà, di Gotham City, evaso in seguito al cataclisma che ha spazzato via la città e lo stesso manicomio, un evaso, lo ripeto. E un folle. Non certo uno scrittore! Anche impegnandomi, la storia non poteva che essere confusa e delirante!"
No, insistere colle citazioni potrebbe sembrare un atto di ostentata mancanza di rispetto.
Cosa allora? Un codice, ecco sì un codice! Il racconto è totalmente cifrato e destinato ai servizi segreti. Sono un agente del governo.
No, non ho appoggi. Sarei immediatamente smascherato.
L'unica soluzione accettabile è ammettere che il racconto è così perchè mi andava di scriverlo così.
Perchè le loro storie semplici e lineari non mi sono mai piaciute, così come i loro personaggi tutti di un pezzo e capacissimi di vincere o morire in orario.
Ora glielo dico.
Ma il buon Willie ora non c'entra, come non c'entrano loro, gli aborigeni.
Torniamo al capo, torniamo a noi.
Basterà un mea culpa generale? Si accontenterà di tanto e in fondo di così poco, l'uomo dal naso aquilino e dal rubino intonato alla cravatta? Qual'è il suo vero scopo? A cosa mira?
E' vero la storia doveva essere semplice e lineare.
E invece è così astrusa e complessa che qualcuno la ha perfino definita delirante.
Le citazioni dovevano essere poche e facilmente comprensibili.
E invece esse formano un sottotesto esteso e intricato.
Congedare Paul Garret doveva risultare, qualora se ne fosse presentata l'occorrenza, una pratica semplice ed indolore ed egli invece è ancora in giro. Ancora vivo e con un nome diverso, vale a dire un'altra identità.
Mi chiedo: hanno un punto debole le lagnanze del capo? E' possibile fare breccia nel muro delle sue solidissime critiche? Come posso impostare la mia difesa?
Sarebbe sbagliato smentire l'evidenza. Sbagliato ai fini che mi propongo; cioè, in concreto, antiproducente.
Posso lavorare sul perchè, a patto che io riesca a pensare ad una velocità considerevole. Il silenzio che già pesa, in attesa della mia risposta, non può protrarsi in eterno. E nemmeno a lungo. Se non sarò io ad interromperlo potrebbe essere qualcun'altro e con esiti a me ignoti. Dicono di essere gente per bene, rispettabile. Tuttavia per me sono solo presenze nel buio. Potrebbero decidere oggi di infrangere il ferreo codice etico delle persone civili.
La tensione che sale istante dopo istante, percepibile e palpabile nell'aria scura, amplificata dal silenzio, rende questa possibilità tutt'altro che remota.
Quale possibilità? Ovvio:la possibilità che mi saltino addosso, che mi sbranino che mi facciano sparire.
La mia parte razionale mi grida di non lasciarmi influenzare, di non farmi atterrire. Questi sospetti, dice, sono dovuti al contesto inconsueto e sinistro.
E, dice, se il contesto è stato appositamente preparato in questo modo è per confondermi ed intimorirmi.
E se si vuole confondere una persona lo si fa per disarmarla dai suoi buoni argomenti.
In conclusione, da qualche parte devo avere sicuramente dei buoni argomenti, altrimenti non avrebbero messo in piedi tutto questo macchinoso teatro di tensione. Ma dove diavolo sono questi buoni argomenti, che sicuramente ho? Perchè non li trovo?
Concentrati sul perchè, ragiona. Non farti intimorire, non farti suggestionare.
Provo un argomento:"E' la vostra casa rivale. Mi hanno pagato perchè boicottassi in toto il vostro progetto. Pagavano bene, Erano anche simpatici..."
Mi accorgo che è controproducente, fortuna che la prova era solo mentale.
"Cosa vi aspettavate? Sono evaso da un noto manicomio criminale, l'unico in realtà, di Gotham City, evaso in seguito al cataclisma che ha spazzato via la città e lo stesso manicomio, un evaso, lo ripeto. E un folle. Non certo uno scrittore! Anche impegnandomi, la storia non poteva che essere confusa e delirante!"
No, insistere colle citazioni potrebbe sembrare un atto di ostentata mancanza di rispetto.
Cosa allora? Un codice, ecco sì un codice! Il racconto è totalmente cifrato e destinato ai servizi segreti. Sono un agente del governo.
No, non ho appoggi. Sarei immediatamente smascherato.
L'unica soluzione accettabile è ammettere che il racconto è così perchè mi andava di scriverlo così.
Perchè le loro storie semplici e lineari non mi sono mai piaciute, così come i loro personaggi tutti di un pezzo e capacissimi di vincere o morire in orario.
Ora glielo dico.
lunedì 3 novembre 2008
DIFESA
Eh, che potrò mai rispondere? Non che il capo abbia tutti i torti, non che il suo discorso non abbia un fondo di vero. Dal suo punto di vista almeno. Su un punto però non è stato onesto: gli aborigeni.
Avevo scritto un episodio sugli aborigeni.
Gli aborigeni sono una questione spinosa. Anche la letterattura specializzata, di viaggio e divulgativa non sa mai come affrontare il problema: si tratta tutto e poi ci si dice: manca niente? Oh beh... mancherebbe la questione degli aborigeni e se non l'abbiamo trattata fin ora è perchè è la parte più difficile della faccenda.
Gli aborigeni non hanno più rispetto di sè.
Non hanno più rispetto dei propri luoghi;
e non hanno più rispetto degli altri.
Il tentativo del governo australiano di modernizzare, occidentalizzare i bambini aborigeni sottraendoli dalle loro famiglie e affidandoli a famiglie bianche è stato fallimentare per almeno due ragioni: da un punto di vista umano, questo punto si commenta da solo, e da un punto di vista culturale: rompere la struttura interna di un clan equivale ad interrompere il flusso generazionale delle tradizioni, per definizione orale. Questa gente non sa più chi è, nè cosa vuole. In compenso, e comprensibilmente, è piuttosto arrabbiata. Ma questa rabbia è sterile. Il governo australiano per fare pubblica ammenda delle sue malefatte passate, dai primi immotivati massacri, alla espropriazione indebita di terra, agli episodi vergognosi della generazione rubata, è diventato prodigo e si fa un punto d'onore e di principio di sostenere economicamente questa gente esentandoli in pratica da qualsiasi seria attività lavorativa.
Gli aborigeni australiani ricordano i pellerossa americani. Sono i fantasni di se stessi.
Non dovrebbe stupire che volessi evitare di trattare l'argomento. Cosa ci si aspettava da me? Che sottoscrivessi quell'immagine da film esotico, o da catalogo vacanze in cui l'aborigeno è il custode imperscrutabile di luoghi sacri e antichi segreti? Atavico e dignitoso? Ma questo sarebbe fare il gioco della disinformazione.
Nell'episodio che avevo scritto prendevo spunto dal degrado in cui questi uomini, che hanno perso la coscienza di essere stati custodi di luoghi privilegiati, lasciano detti luoghi. Erano pagine dure in cui la sporicizia abbandonata nel deserto, cocci di vetro e decine di migliaia di lattine di birra accartocciate si forgiavano in un orribile gigante al soldo della chiesa di Corradine.
Il reverendo in quella circostanza aveva finito per l'essermi simpatico. Stava riciclando.
Avevo scritto un episodio sugli aborigeni.
Gli aborigeni sono una questione spinosa. Anche la letterattura specializzata, di viaggio e divulgativa non sa mai come affrontare il problema: si tratta tutto e poi ci si dice: manca niente? Oh beh... mancherebbe la questione degli aborigeni e se non l'abbiamo trattata fin ora è perchè è la parte più difficile della faccenda.
Gli aborigeni non hanno più rispetto di sè.
Non hanno più rispetto dei propri luoghi;
e non hanno più rispetto degli altri.
Il tentativo del governo australiano di modernizzare, occidentalizzare i bambini aborigeni sottraendoli dalle loro famiglie e affidandoli a famiglie bianche è stato fallimentare per almeno due ragioni: da un punto di vista umano, questo punto si commenta da solo, e da un punto di vista culturale: rompere la struttura interna di un clan equivale ad interrompere il flusso generazionale delle tradizioni, per definizione orale. Questa gente non sa più chi è, nè cosa vuole. In compenso, e comprensibilmente, è piuttosto arrabbiata. Ma questa rabbia è sterile. Il governo australiano per fare pubblica ammenda delle sue malefatte passate, dai primi immotivati massacri, alla espropriazione indebita di terra, agli episodi vergognosi della generazione rubata, è diventato prodigo e si fa un punto d'onore e di principio di sostenere economicamente questa gente esentandoli in pratica da qualsiasi seria attività lavorativa.
Gli aborigeni australiani ricordano i pellerossa americani. Sono i fantasni di se stessi.
Non dovrebbe stupire che volessi evitare di trattare l'argomento. Cosa ci si aspettava da me? Che sottoscrivessi quell'immagine da film esotico, o da catalogo vacanze in cui l'aborigeno è il custode imperscrutabile di luoghi sacri e antichi segreti? Atavico e dignitoso? Ma questo sarebbe fare il gioco della disinformazione.
Nell'episodio che avevo scritto prendevo spunto dal degrado in cui questi uomini, che hanno perso la coscienza di essere stati custodi di luoghi privilegiati, lasciano detti luoghi. Erano pagine dure in cui la sporicizia abbandonata nel deserto, cocci di vetro e decine di migliaia di lattine di birra accartocciate si forgiavano in un orribile gigante al soldo della chiesa di Corradine.
Il reverendo in quella circostanza aveva finito per l'essermi simpatico. Stava riciclando.
domenica 2 novembre 2008
Accuse
C'è un attimo di silenzio, poi il capo comincia a parlare e Willie White a scrivere. E' ufficiale, sta redigendo un verbale. C'è sempre un qualche fesso che deve scrivere il verbale. Le sue mani si muovono veloci bucando l'oscurità.
Il capo dice:
"Il fumetto non vende. Questo lo sa anche Lei."
Il fatto che mi si rivolga dandomi del lei mi inquieta sempre un po'; dà alla situazione quella nota formale, ufficiale che non potrebbe mancarle. Senza quel Lei la farsa non sarebbe completa e perfetta.
"Ritengo non sia colpa del disegnatore"
Concordo, il disegnatore è bravissimo. Concordo mentalmente, come avrete capito, intanto il capo procede.
"Ritengo invece che sia colpa sua".
Reputo saggio starmene zitto.
Che avrà da scrivere Willie White? Non si dà tregua, scivola così veloce sulla carte che pare impazzito, in preda ad un raptus. Da quasi l'impressione che non stia affatto scrivendo, che stia... che so...Sì proprio così, che stia disegnando, come quei veloci e dotati bozzettisti che vengono chiamati ai processi in cui la stampa e gli obiettivi non sono ammessi.
Il disegnatore della storia io non lo ho mai conosciuto, vive e opera nel più totale anonimato. Niente nomi, nè indiscrezioni. Sul principio credevo di avere a che fare con un'intero team, ma lo stile è troppo uniforme e troppo poco imitabile. Il capo su questo ha ragione: il disegnatore opera al di là di ogni possibile critica. E' anche un tipo preciso per quello che riguarda le scadenze. Dote questa, la puntualità, di solito preclusa ai geni. Ho sempre pensato che fosse una sorta di mostro, di spettro.
Ora che ci faccio caso ogni tanto infila la sua sigla in modo dissimulato in una vignetta: un paio di lettere nell'insegna cadente di un bar, in un graffito lasciato a metà su un muro, in un'assurda onomatopea.
Un doppioW.
Sicuramente una coincidenza.
L'idea di tacere si è rivelata giusta: il capo ha ripreso a parlare. Spero non si interrompa ancora, spero che faccia una tirata unica così da potere uscire da questa tana buia, alla luce del sole il più presto possibile e potermi concedere un caffè doppio o una birra in un'altra tana buia. Si sa questo tipo di incontri aumentano sudorazione e salivazione e un sacco di altre cose, in una parola mettono una gran sete.
"Innanzi tutto - dice il capo- non mi sono mai trovato d'accordo sul taglio della storia. Lei sa bene che non è Nostra abitudine interferire cogli autori, tuttavia, in sede di contratto, le avevo chiesto di adempiere ai criteri che rendono il nostro gruppo unico e concorrenziale, non di stravolgerli.
Ci piacciono storie lineari, chiare, sintetiche.
Pochi personaggi e ben caratterizzati.
Concretezza e rispetto dei generi.
Le avevo esplicitamente chiesto di trattare la tematica aborigena, con un occhio di riguardo a questa gente ai loro usi e costumi, a ciò che di intrigante come popolo possiedono, a ciò che di loro colpisce la fantasia atrofizzata dei cittadini occidentali. Si è abilmente sottratto anche a questo compito.
Le avevo esplicitamente chiesto di limitare al minimo le citazioni. Solo citazioni pertinenti all'argomento e comprensibili dal lettore medio. Lo scopo delle citazioni è invogliare il lettore a comprare testate gemelle o albi arretrati.
Non mi pare che mi abbia dato ascolto, neanche su questo punto, anzi...
Ma quello che aggrava ulteriormente la situazione fino a renderla imbarazzante è che, ci pare, Lei sia stato restio a concludere la storia, in modo dignitoso per noi, per lei e per il suo personaggio, quando gliene è stata data la possibilità.
Di più ha tergiversato adducendo scuse surreali e ha fagocitato ingenti somme stanziate esclusivamente per emergenze - e parlo di emergenze reali- per scorrazzare, a nostre spese, in lungo e in largo per il continente in cerca di un fantasma.
Il capo dice:
"Il fumetto non vende. Questo lo sa anche Lei."
Il fatto che mi si rivolga dandomi del lei mi inquieta sempre un po'; dà alla situazione quella nota formale, ufficiale che non potrebbe mancarle. Senza quel Lei la farsa non sarebbe completa e perfetta.
"Ritengo non sia colpa del disegnatore"
Concordo, il disegnatore è bravissimo. Concordo mentalmente, come avrete capito, intanto il capo procede.
"Ritengo invece che sia colpa sua".
Reputo saggio starmene zitto.
Che avrà da scrivere Willie White? Non si dà tregua, scivola così veloce sulla carte che pare impazzito, in preda ad un raptus. Da quasi l'impressione che non stia affatto scrivendo, che stia... che so...Sì proprio così, che stia disegnando, come quei veloci e dotati bozzettisti che vengono chiamati ai processi in cui la stampa e gli obiettivi non sono ammessi.
Il disegnatore della storia io non lo ho mai conosciuto, vive e opera nel più totale anonimato. Niente nomi, nè indiscrezioni. Sul principio credevo di avere a che fare con un'intero team, ma lo stile è troppo uniforme e troppo poco imitabile. Il capo su questo ha ragione: il disegnatore opera al di là di ogni possibile critica. E' anche un tipo preciso per quello che riguarda le scadenze. Dote questa, la puntualità, di solito preclusa ai geni. Ho sempre pensato che fosse una sorta di mostro, di spettro.
Ora che ci faccio caso ogni tanto infila la sua sigla in modo dissimulato in una vignetta: un paio di lettere nell'insegna cadente di un bar, in un graffito lasciato a metà su un muro, in un'assurda onomatopea.
Un doppioW.
Sicuramente una coincidenza.
L'idea di tacere si è rivelata giusta: il capo ha ripreso a parlare. Spero non si interrompa ancora, spero che faccia una tirata unica così da potere uscire da questa tana buia, alla luce del sole il più presto possibile e potermi concedere un caffè doppio o una birra in un'altra tana buia. Si sa questo tipo di incontri aumentano sudorazione e salivazione e un sacco di altre cose, in una parola mettono una gran sete.
"Innanzi tutto - dice il capo- non mi sono mai trovato d'accordo sul taglio della storia. Lei sa bene che non è Nostra abitudine interferire cogli autori, tuttavia, in sede di contratto, le avevo chiesto di adempiere ai criteri che rendono il nostro gruppo unico e concorrenziale, non di stravolgerli.
Ci piacciono storie lineari, chiare, sintetiche.
Pochi personaggi e ben caratterizzati.
Concretezza e rispetto dei generi.
Le avevo esplicitamente chiesto di trattare la tematica aborigena, con un occhio di riguardo a questa gente ai loro usi e costumi, a ciò che di intrigante come popolo possiedono, a ciò che di loro colpisce la fantasia atrofizzata dei cittadini occidentali. Si è abilmente sottratto anche a questo compito.
Le avevo esplicitamente chiesto di limitare al minimo le citazioni. Solo citazioni pertinenti all'argomento e comprensibili dal lettore medio. Lo scopo delle citazioni è invogliare il lettore a comprare testate gemelle o albi arretrati.
Non mi pare che mi abbia dato ascolto, neanche su questo punto, anzi...
Ma quello che aggrava ulteriormente la situazione fino a renderla imbarazzante è che, ci pare, Lei sia stato restio a concludere la storia, in modo dignitoso per noi, per lei e per il suo personaggio, quando gliene è stata data la possibilità.
Di più ha tergiversato adducendo scuse surreali e ha fagocitato ingenti somme stanziate esclusivamente per emergenze - e parlo di emergenze reali- per scorrazzare, a nostre spese, in lungo e in largo per il continente in cerca di un fantasma.
sabato 1 novembre 2008
conigli per gli acquisti
se vi capita visitate questo blog, una realtà un po aliena lo devo ammettere a quella di mondomosso ma senz'altro con i piedi più piantati per terra senza perdere in fantasia
venerdì 31 ottobre 2008
La spalla del capo, il suo tutto fare. Lo chiameremo Willie White. Difficilmente un altro nome pottrebbe essere più appropriato. Willie White non ha peso in questa storia, non lascerà traccia. E tuttavia è l'uomo che illumina la scena.
L'uomo? Va bene forse è più preciso chiamarlo essere o creatura. Mi spiego: non che Willie sia un alieno o qualche cosa di simile, ma ha indubbiamente perso molti dei suoi connotati umani, se mai li ha avuti. O forse, tali connotati, sono ancora tutti lì presenti all'appello, semplicemente messi in secondo piano dalla lucentezza, dal riverbero della sua pelle bianca.
Una pelle così bianca da illuminare l'oscurità. Certo non è il caso di esagerare, non è più di un debole riverbero. Ma è sufficiente.
Sufficiente a che cosa? vi starate chiedendo voi. Vi rispondo: sufficiente a dare a tutta la faccenda un profondo senso di irrealtà, una netta sensazione di sinistra artificiosità. Le parti esposte del suo corpo sono minime: due mani e un volto. Eppure eccolo lì, diafana lanterna. Se mai vedrò un fantasma non potrà essere molto diverso.
Qual'è lo scopo di Willie White a parte quello di rischiarare la scena in modo gotico e inquietante?
Credo prendere appunti per redigere un verbale.
Se devo dire la mia, un uomo che può rischiarare la tenebra rendendola ancora più spettrale può permettersi di non avere altri scopi e finalità pratiche; è già per se stesso un'installazione post-moderna, un 'opera d'arte contemporanea.
E poi c'è il capo.
Siede alla sua poltrona dirigenziale. Fatico a vederlo, ma posso immaginare come si sia agghindato per l'occasione. Ben vestito, sobrio. L'odore di cuoio delle sue scarpe arriva fino a me; un odore non particolarmente spiacevole. Occhiali cicolari e dorati, capelli corti e con qualche sfumatura di grigio, baffi dello stesso colore. Anello con rubino all'anulare della mano sinistra; la pietra è intonata alla cravatta. Sempre.
Mi dilungo in una descrizione di una persona che non posso vedere perchè è così che me le ricordo dai precedenti colloqui, quelli che avevano beneficiato della luce naturale o elettrica che fosse. Voci di corridoio dicono che si veste così da quindici anni. Quindici anni di completi uguali, di montature degli occhiali uguali. Di cravatte sempre rosse. Del rubino al dito ostentato nello stesso modo quasi arrogante.
Anche i capelli, dicono, hanno le stesse sfumature di grigio da quindici anni.
L'aspetto inquietante della faccenda è che molte delle voci di corridoio di cui sopra insistono nel sostenere che io e il capo siamo , o forse è più corretto dire siamo stati, due quasi perfette gocce d'acqua.
Io dico sempre a questi bontemponi che è impossibile, che si sbagliano, che è uno scherzo di cattivo gusto. Loro rispondono che non posso ricordare, perchè stanno parlando di tempi precedenti al mio ingresso nell'azienda.
Rispondo che è comunque impossibile: diversa la stazza del corpo, le caratteristiche dei capelli, il taglio del viso. "Ha il naso aquilino, quasi adunco, vi pare che sia il mio caso?" sono solito chiedere.
"I suoi occhi sono due fessure colore ghiaccio, vi pare siano paragonabili ai miei?"
Rispondono invovando plastiche, trasformazioni, mimetismi di cui però nessuno conosce la ragione.
Una volta uno di loro mi ha sussurrato all'orecchio: "Ci hai mai pensato? Potresti essere un clone..."
L'uomo? Va bene forse è più preciso chiamarlo essere o creatura. Mi spiego: non che Willie sia un alieno o qualche cosa di simile, ma ha indubbiamente perso molti dei suoi connotati umani, se mai li ha avuti. O forse, tali connotati, sono ancora tutti lì presenti all'appello, semplicemente messi in secondo piano dalla lucentezza, dal riverbero della sua pelle bianca.
Una pelle così bianca da illuminare l'oscurità. Certo non è il caso di esagerare, non è più di un debole riverbero. Ma è sufficiente.
Sufficiente a che cosa? vi starate chiedendo voi. Vi rispondo: sufficiente a dare a tutta la faccenda un profondo senso di irrealtà, una netta sensazione di sinistra artificiosità. Le parti esposte del suo corpo sono minime: due mani e un volto. Eppure eccolo lì, diafana lanterna. Se mai vedrò un fantasma non potrà essere molto diverso.
Qual'è lo scopo di Willie White a parte quello di rischiarare la scena in modo gotico e inquietante?
Credo prendere appunti per redigere un verbale.
Se devo dire la mia, un uomo che può rischiarare la tenebra rendendola ancora più spettrale può permettersi di non avere altri scopi e finalità pratiche; è già per se stesso un'installazione post-moderna, un 'opera d'arte contemporanea.
E poi c'è il capo.
Siede alla sua poltrona dirigenziale. Fatico a vederlo, ma posso immaginare come si sia agghindato per l'occasione. Ben vestito, sobrio. L'odore di cuoio delle sue scarpe arriva fino a me; un odore non particolarmente spiacevole. Occhiali cicolari e dorati, capelli corti e con qualche sfumatura di grigio, baffi dello stesso colore. Anello con rubino all'anulare della mano sinistra; la pietra è intonata alla cravatta. Sempre.
Mi dilungo in una descrizione di una persona che non posso vedere perchè è così che me le ricordo dai precedenti colloqui, quelli che avevano beneficiato della luce naturale o elettrica che fosse. Voci di corridoio dicono che si veste così da quindici anni. Quindici anni di completi uguali, di montature degli occhiali uguali. Di cravatte sempre rosse. Del rubino al dito ostentato nello stesso modo quasi arrogante.
Anche i capelli, dicono, hanno le stesse sfumature di grigio da quindici anni.
L'aspetto inquietante della faccenda è che molte delle voci di corridoio di cui sopra insistono nel sostenere che io e il capo siamo , o forse è più corretto dire siamo stati, due quasi perfette gocce d'acqua.
Io dico sempre a questi bontemponi che è impossibile, che si sbagliano, che è uno scherzo di cattivo gusto. Loro rispondono che non posso ricordare, perchè stanno parlando di tempi precedenti al mio ingresso nell'azienda.
Rispondo che è comunque impossibile: diversa la stazza del corpo, le caratteristiche dei capelli, il taglio del viso. "Ha il naso aquilino, quasi adunco, vi pare che sia il mio caso?" sono solito chiedere.
"I suoi occhi sono due fessure colore ghiaccio, vi pare siano paragonabili ai miei?"
Rispondono invovando plastiche, trasformazioni, mimetismi di cui però nessuno conosce la ragione.
Una volta uno di loro mi ha sussurrato all'orecchio: "Ci hai mai pensato? Potresti essere un clone..."
mercoledì 29 ottobre 2008
"Ma quali chirotteri e chirotteri -sbraita il capo- su, presto si segga, la stavamo aspettando, è in ritardo si segga si segga".
Mi siedo.
Il capo non si da per vinto, i chirotteri l'hanno decisamente colpito: non abbandona l'argomento, anche se, si capisce chiaramente, farebbe volentieri a meno di trattarlo. Alla fine opta per una trattazione sintetica in due battute.
Prima battuta:
"Cosa intende, caro mio? E' forse il sistema di fuga pittoresco che ha programmato per uscire da qui? Scomparire in una nube di pipistrelli che infrangano le vetrate in mille frammenti e assedino la sala calandola nella più profoda confusione? Pensa che ce ne sia bisogno? Si sente in qualche modo nostro prigioniero? Le risulta che abbiamo mai esercitato pressioni fisiche su qualcuno dei suoi colleghi? "
Per un attimo mi chiedo se aspetta da me una risposta per ogni domanda che sta formulando. Ma, sul finire, il suo tono perde ogni inflessione interrogativa. Erano retoriche, mi sento sollevato dall'arduo compito.
"E poi se si fosse portato dietro un qualche fischietto lo scanner all'entrata l'avrebbe sicuramente rivelato.
E' ultrasensibile. Rivela centotrenta tra leghe e materiali, senza contare il metallo".
Seconda battuta:
"O forse quando lei parla di chirotteri si riferisce al nostro pubblico, ai miei e suoi colleghi che ora la scrutano e presto dovranno giudicarla, a questi uomini ammantati nell'ombra? La metafora ha un suo fascino, glielo riconosco ma non ci rende giustizia. Questi uomini stanno nel buio per non influenzare negativamente il suo rapporto, le risposte che è stato chiamato a darmi per giustificare quella che allo stato attuale ha tutta l'aria di essere un'inefficienza, un mal funzionamento, una serie di errori e scelte sbagliate portate avanti contro ogni logica".
"Stanno nell'ombra per non influenzarla essendo a conoscenza della sua proverbiale timidezza e ritrosia. E' un accorgimento preso per venirle in contro, non per garantire ad essi l'anonimato!"
"Che senso avrebbe infatti il loro anonimato?
Sono persone che lei conosce molto bene: fiscalisti, commerciali, azionisti del nostro gruppo; addetti alle vendite, sponsor, finanziatori ; simpatizzanti, sostenitori, divulgatori. Non sono certo un'eminenza grigia... E a tempo debito, quando sarà opportuno votare, le assicuro che la sala verrà illuminata a giorno. Ci piace fare le cose alla luce del sole, anche se preferiamo evitare le sovra-esposizioni."
La tirata è finita, funge da prologo. Nessuno batte le mani, anzi per dirla bene e tutta nessuno pare fiatare. Ruotando impercettibilmente la sedia, che è girevole e lavorando coll'angolo dell'occhio, finalmente riesco a vedere le sagome scure, quasi immobili nella struttura a platea rialzata. Ecco non è che siano proprio ferme, ma c'è una rigoreosa economia nella gestione dei loro movimenti.
Quasi immobili era una buona definizione, quindi.
Loro in platea; io, il giudice e il suo aiutante sul palco. Siamo gli attori, siamo lo spettacolo.
Siamo in scena.
Mi siedo.
Il capo non si da per vinto, i chirotteri l'hanno decisamente colpito: non abbandona l'argomento, anche se, si capisce chiaramente, farebbe volentieri a meno di trattarlo. Alla fine opta per una trattazione sintetica in due battute.
Prima battuta:
"Cosa intende, caro mio? E' forse il sistema di fuga pittoresco che ha programmato per uscire da qui? Scomparire in una nube di pipistrelli che infrangano le vetrate in mille frammenti e assedino la sala calandola nella più profoda confusione? Pensa che ce ne sia bisogno? Si sente in qualche modo nostro prigioniero? Le risulta che abbiamo mai esercitato pressioni fisiche su qualcuno dei suoi colleghi? "
Per un attimo mi chiedo se aspetta da me una risposta per ogni domanda che sta formulando. Ma, sul finire, il suo tono perde ogni inflessione interrogativa. Erano retoriche, mi sento sollevato dall'arduo compito.
"E poi se si fosse portato dietro un qualche fischietto lo scanner all'entrata l'avrebbe sicuramente rivelato.
E' ultrasensibile. Rivela centotrenta tra leghe e materiali, senza contare il metallo".
Seconda battuta:
"O forse quando lei parla di chirotteri si riferisce al nostro pubblico, ai miei e suoi colleghi che ora la scrutano e presto dovranno giudicarla, a questi uomini ammantati nell'ombra? La metafora ha un suo fascino, glielo riconosco ma non ci rende giustizia. Questi uomini stanno nel buio per non influenzare negativamente il suo rapporto, le risposte che è stato chiamato a darmi per giustificare quella che allo stato attuale ha tutta l'aria di essere un'inefficienza, un mal funzionamento, una serie di errori e scelte sbagliate portate avanti contro ogni logica".
"Stanno nell'ombra per non influenzarla essendo a conoscenza della sua proverbiale timidezza e ritrosia. E' un accorgimento preso per venirle in contro, non per garantire ad essi l'anonimato!"
"Che senso avrebbe infatti il loro anonimato?
Sono persone che lei conosce molto bene: fiscalisti, commerciali, azionisti del nostro gruppo; addetti alle vendite, sponsor, finanziatori ; simpatizzanti, sostenitori, divulgatori. Non sono certo un'eminenza grigia... E a tempo debito, quando sarà opportuno votare, le assicuro che la sala verrà illuminata a giorno. Ci piace fare le cose alla luce del sole, anche se preferiamo evitare le sovra-esposizioni."
La tirata è finita, funge da prologo. Nessuno batte le mani, anzi per dirla bene e tutta nessuno pare fiatare. Ruotando impercettibilmente la sedia, che è girevole e lavorando coll'angolo dell'occhio, finalmente riesco a vedere le sagome scure, quasi immobili nella struttura a platea rialzata. Ecco non è che siano proprio ferme, ma c'è una rigoreosa economia nella gestione dei loro movimenti.
Quasi immobili era una buona definizione, quindi.
Loro in platea; io, il giudice e il suo aiutante sul palco. Siamo gli attori, siamo lo spettacolo.
Siamo in scena.
martedì 28 ottobre 2008
ancora animali totemici
Adoro questa città. E' diversa da tutte le altre. In Australia, per lo meno, non ha euguali, neanche Brisbane, non certo Melbourne. E' moderna: di più, avvenieristica ...e paradossalmente a misura d'uomo. Potete andare da un angolo all'altro di Sydney usando il sistema dei parchi, potete girarla semplicemente passeggiando. Perdervi e ritrovarvi, come nella canzone dei Judas' Priest.
I parchi sono pieni di sorprese. Angoli esotici, giardini botanici, colonie di chirotteri, quelli dal caratteristico pelo rosso, specie non indigena, più noti come volpi volanti.
Osservare le volpi volanti penzolare pigre dai rami degli alberi nei recessi del parco cittadino, coi piedi, i vostri, i miei, saldamenti ormeggiati nel guano è un ottimo esercizio, una pratica di saggezza. La specie in questione non è indigena e solo tollerata dalla popolazione locale. La popolazione locale sono gli abitanti di Sydney che come tutti gli australiani hanno il sacrosanto terrore pere tutte le specie non autoctone; come già sapete nella mente degli australiani dalla vicenda dei conigli importati in poi, il loro continente è percepito sempre come sul bordo della voragine del rischio ambientale.
Ma questi chirotteri sono profondamente gasanti. Per un autore di fumetti come me, hanno un profondo significato ed esercitano una profonda eco emotiva. Simboli viventi. Non c'è solo il pipistrello, ma anche la volpe, lì su a penzolare da quegli alberi. Batman e Zorro, volpe appunto.
Voi che non siete addetti ai lavori non ricorderete tutto quel riscrivere storie ed episodi per affermare una diretta discendenza dell' oscuro protettore di Gotham dallo spadaccino mascherato.
Voi vedreste, stando qui dove mi trovo io, solo buffi animaletti a testa in giù.
Io invece ci vedo dichiarazioni di principio.
E' strano: questa storia era incominciata proprio sotto il segno degli animali totemici...Che abbia in fondo una sua coerenza?
Cerco di pensare ai chirotteri anche quando esco dal parco e poi quando, dopo l'ingresso nella prestigiosa hall,
un ascensore mi porta rapido all'ultimo piano del grattacielo, alla sede designata. Il pensiero in questo contesto forse ne vale un altro, o forse no. E' giusto un modo per tenere il cervello impegnato su qualcosa che i miei giudici non possano controllare.
Un modo semplice ed indolore per affermare una differenza fra di noi.
Eccomi al piano. L'ascensore si apre. Le porte scivolano con classe , un campanello emette due note eleganti a sottolineare l'evento meccanico. La porta degli uffici è ad una decina di metri. Il corridoio di solito luminoso fino all'inverossimile e foriero di una vista mozzafiato sulla baia e il fiume, è stato inspiegabilmente oscurato da pannelli semimobili di ultima generazione.
La porta è socchiusa,evidentemente sono atteso.
Ma dallasala interna non filtra luce.
Busso, spingo ed entro.
"La stavamo aspettando" recita gelida la voce del capo.
"Chirotteri" rispondo a mia volta, scandendo bene le lettere e senza lasciarmi impressionare.
I parchi sono pieni di sorprese. Angoli esotici, giardini botanici, colonie di chirotteri, quelli dal caratteristico pelo rosso, specie non indigena, più noti come volpi volanti.
Osservare le volpi volanti penzolare pigre dai rami degli alberi nei recessi del parco cittadino, coi piedi, i vostri, i miei, saldamenti ormeggiati nel guano è un ottimo esercizio, una pratica di saggezza. La specie in questione non è indigena e solo tollerata dalla popolazione locale. La popolazione locale sono gli abitanti di Sydney che come tutti gli australiani hanno il sacrosanto terrore pere tutte le specie non autoctone; come già sapete nella mente degli australiani dalla vicenda dei conigli importati in poi, il loro continente è percepito sempre come sul bordo della voragine del rischio ambientale.
Ma questi chirotteri sono profondamente gasanti. Per un autore di fumetti come me, hanno un profondo significato ed esercitano una profonda eco emotiva. Simboli viventi. Non c'è solo il pipistrello, ma anche la volpe, lì su a penzolare da quegli alberi. Batman e Zorro, volpe appunto.
Voi che non siete addetti ai lavori non ricorderete tutto quel riscrivere storie ed episodi per affermare una diretta discendenza dell' oscuro protettore di Gotham dallo spadaccino mascherato.
Voi vedreste, stando qui dove mi trovo io, solo buffi animaletti a testa in giù.
Io invece ci vedo dichiarazioni di principio.
E' strano: questa storia era incominciata proprio sotto il segno degli animali totemici...Che abbia in fondo una sua coerenza?
Cerco di pensare ai chirotteri anche quando esco dal parco e poi quando, dopo l'ingresso nella prestigiosa hall,
un ascensore mi porta rapido all'ultimo piano del grattacielo, alla sede designata. Il pensiero in questo contesto forse ne vale un altro, o forse no. E' giusto un modo per tenere il cervello impegnato su qualcosa che i miei giudici non possano controllare.
Un modo semplice ed indolore per affermare una differenza fra di noi.
Eccomi al piano. L'ascensore si apre. Le porte scivolano con classe , un campanello emette due note eleganti a sottolineare l'evento meccanico. La porta degli uffici è ad una decina di metri. Il corridoio di solito luminoso fino all'inverossimile e foriero di una vista mozzafiato sulla baia e il fiume, è stato inspiegabilmente oscurato da pannelli semimobili di ultima generazione.
La porta è socchiusa,evidentemente sono atteso.
Ma dallasala interna non filtra luce.
Busso, spingo ed entro.
"La stavamo aspettando" recita gelida la voce del capo.
"Chirotteri" rispondo a mia volta, scandendo bene le lettere e senza lasciarmi impressionare.
domenica 5 ottobre 2008
Le città nel deserto ( anche dove non c'è deserto, ma ampi spazi vuoti dell'elemento umano ) hanno la fisiologica necessità di rendersi visibili. Sono un modo manifesto in cui lo storico ( artificilae ) si impone sul naturale sterminato che lo circonda. Le città nuove ( che qui non hanno mai più di 200 anni) che non possono vantare seri monumenti antichi, si sforzano di imprimersi alla comune attenzione colla grandezza dei loro edifici. Anzi, più che di grandezza, occorrerebbe parlare di spiccata verticalità. La visione da cartolina che nella città della vecchia Europa è offerta da palazzi antichi, piazze e cattedrali, è qui affidata allao sky-line.
Il fascino del grattacielo è gestito su due livelli: esso permette di vedere la città ai suoi piedi fino ai sobborghi; visione questa più ovvia, ma impropria.
Secondo livello: il grattacielo, anzi i gratacieli si fanno vedere da molto lontano, disegnando la sagoma della city metonimica della città. Ecco che la visione da cartolina diventa una veduta da lontano e il posto prescelto tendenzialmente un "bel posto" per il panaroma che offre.
Situazione paradossale: il bel posto per me ora è l' autostrada, o meglio la mia automobile, meglio ancora il posto del guidatore.
Quattro giorni sono passati, sto arrivando: Sidney è qui di fronte a me, nelle luci della sera.
Prenderò alloggio in un economico motel, domattina mi raderò e mi infilerò il completo buono.
Quindi raggiungerò il grattacielo progettato dalla mente aerea di Renzo Piano e, scusate la ripetizione, salirò proprio fino all'ultimo piano.
Mi attendono per le ore 10 del mattino.
Ci sarà il capo e la sua corte di viscidi collaboratori.
Incominceranno a farmi intendere che se il fumetto non ha venduto è soprattutto colpa mia.
Mi muoveranno delle accuse dalle quali dovrò difendermi.
Sarà un processo vero e proprio.
Fa nulla, mi perdoneranno...Mi perdonano sempre.
Quello che preme loro ora non è liberarsi di me, ma liberarsi di quel tale : Ned Kelly
Avranno molto idee su come liberarsi di Ned Kelly, ma, in modo credo unanime, saranno propensi per un "Lieto fine con probabile prole a carico", più noto come LFPPC o, talvolta LFCPPC.
Tenterò di oppormi per il rispetto che porto all'ex Paul Garret, ma avrò contro di me dei numeri schiaccianti.
Staremo a vedere.
Il fascino del grattacielo è gestito su due livelli: esso permette di vedere la città ai suoi piedi fino ai sobborghi; visione questa più ovvia, ma impropria.
Secondo livello: il grattacielo, anzi i gratacieli si fanno vedere da molto lontano, disegnando la sagoma della city metonimica della città. Ecco che la visione da cartolina diventa una veduta da lontano e il posto prescelto tendenzialmente un "bel posto" per il panaroma che offre.
Situazione paradossale: il bel posto per me ora è l' autostrada, o meglio la mia automobile, meglio ancora il posto del guidatore.
Quattro giorni sono passati, sto arrivando: Sidney è qui di fronte a me, nelle luci della sera.
Prenderò alloggio in un economico motel, domattina mi raderò e mi infilerò il completo buono.
Quindi raggiungerò il grattacielo progettato dalla mente aerea di Renzo Piano e, scusate la ripetizione, salirò proprio fino all'ultimo piano.
Mi attendono per le ore 10 del mattino.
Ci sarà il capo e la sua corte di viscidi collaboratori.
Incominceranno a farmi intendere che se il fumetto non ha venduto è soprattutto colpa mia.
Mi muoveranno delle accuse dalle quali dovrò difendermi.
Sarà un processo vero e proprio.
Fa nulla, mi perdoneranno...Mi perdonano sempre.
Quello che preme loro ora non è liberarsi di me, ma liberarsi di quel tale : Ned Kelly
Avranno molto idee su come liberarsi di Ned Kelly, ma, in modo credo unanime, saranno propensi per un "Lieto fine con probabile prole a carico", più noto come LFPPC o, talvolta LFCPPC.
Tenterò di oppormi per il rispetto che porto all'ex Paul Garret, ma avrò contro di me dei numeri schiaccianti.
Staremo a vedere.
venerdì 3 ottobre 2008
" E poi?"
Gli amici di Tranquilli mi guardano esterefatti. Il gruppo è stato rinfoltito dal proprietario del locale e da un paio di avventori.
E' passato del tempo, senza che nessuno ci facesse caso.
La colazione è vendicata.
Ho finalmente rovinato la giornata a qualcun altro.
"E poi?" incalza di nuovo la solita voce.
Rispondo che non c'è un poi. Che quanto gli ho raccontato è quanto sapevo.
Il finale era inquietante: con Ned Kelly che giorni dopo i fatti di kalgoorlie si ferma in una roadhouse, compra un quotidiano e si ritrova in prima pagine per una serie di nefandezze lunga così e mentre pensa : "menzogne, non ho affato compiuto queste azioni" si rende conto che i ricordi dell'ultima settimana galleggiano in una nebbia indistinta, che non può fornire un alibi perchè oggettivamente non saprebbe dire cos'era, dov'era, cosa faceva.
E deve tornare sulla dannata macchina prima che venga riconosciuto e partire verso chissà quali altre nefandezze.
Veramente una brutta storia.
"Ma non capisco - dice quello grande e grosso- la polizia non poteva fermare l'auto? Sarebbe bastato il controllo aereo; in tutto l'ovest ci sono sì e no quattro strade!"
E uno di quelli nuovi, quello coi baffi:" Eh, ma allora non hai seguito! La macchina cambiava colore! Quelli cercavano un'auto celeste e zac! quella ti diventava grigia o nera!" E aggiunge:
Senza contare i turbini di sabbia che la nascondevano all'occorenza e che potevano celarla per centinaia di miglia, vero e proprio controllo sugli elementi, capisci?
Infernale.
Anche Tranquilli si fa sentire: "C'e una cosa che non ho capito, quel tuo amico lì il Ned Kelly come ha fatto alla fine a farla saltare in aria. Che escamotage ha usato? Quale trucco? Questo almeno ce lo devi dire".
Insomma Tranquilli come te lo devo dire?
Non lo so, non ne ho idea. Mi sembrava di aver insistito a sufficienza su questo punto: non so tutto, non vedo la storia in ogni suo minimo particolare; solo a tratti. Qualcosa qui, qualcosa là. Brandelli, insomma. Ve lo ripeto: sono stati mesi infernali; lo seguivo attraverso la scia di inspiegabili disastri che punteggiavano una strada lunghissima che dal Sud-Ovest andava al Nord-Ovest.
E tutto quello che posso assicurarvi cè che quella macchina è saltata in aria, sotto i miei occhi, pochi giorni fa in quello stupido pub degli alieni .
Silenzio, di nuovo.
Insomma i ragazzi non vogliono rassegnarsi.
"Ci sono stato una volta in quel pub...non è distante" dice uno di loro.
"Perchè vedi -mi dice quello coi baffi- se il tuo amico è ancora là, lo potremmo chiedere a lui come ha fatto con l'auto".
"Certo questo e gli altri particolari che a te non sono chiari, no?"Aggiunge l'altro amico di Tranquilli.
Sto per spiegare loro che non so se Ned Kelly sia ancora là o per quanto tempo intenda trattenersi in quel posto.
E' probabile che non si sia mosso, ora che la sua storia è in attesa di finale. Giacchè un finale per questa storia ancora propriamente non c'è, dovrebbe starsene proprio là; in attesa. Ma per quanto tempo? E se volesse fare di testa sua una altra volta? Se se ne è già andato via con un piano ben preciso?
No, non credo che si muoverà.
La storia potrebbe finire proprio in quel pub a ben pensarci. O potrebbe essere interrotta così fra il lusco e il brusco ed essere dimenticato laggiù, per il caro Ned, sarebbe comunque meglio che essere abbandonato in altri posti, che so una prigione,sotto delle macerie o quello che piace pensare a voi.
Tutto dipende dalla riunione fissata a Sidney fra quattro giorni, in cui il grande capo, gli addetti alle vendite e gli azionisti decideranno come porre fine a questo fumetto che non vende.
Il mio personaggio è stato restio alle soluzioni propostegli, ne è sgusciato fuori come una biscia ed ora con una certa apprensione temo il peggio per lui.
Intanto il gruppo è partito.
Sono andati a chiedere all'ex Paul Garret un paio di chiarimenti.
L'escursione mi pare decisamente fuori porta, ma potrebbe valerne la pena.
Sono rimasto solo col proprietario.
Mi faccio portare un'altra colazione.
Gli amici di Tranquilli mi guardano esterefatti. Il gruppo è stato rinfoltito dal proprietario del locale e da un paio di avventori.
E' passato del tempo, senza che nessuno ci facesse caso.
La colazione è vendicata.
Ho finalmente rovinato la giornata a qualcun altro.
"E poi?" incalza di nuovo la solita voce.
Rispondo che non c'è un poi. Che quanto gli ho raccontato è quanto sapevo.
Il finale era inquietante: con Ned Kelly che giorni dopo i fatti di kalgoorlie si ferma in una roadhouse, compra un quotidiano e si ritrova in prima pagine per una serie di nefandezze lunga così e mentre pensa : "menzogne, non ho affato compiuto queste azioni" si rende conto che i ricordi dell'ultima settimana galleggiano in una nebbia indistinta, che non può fornire un alibi perchè oggettivamente non saprebbe dire cos'era, dov'era, cosa faceva.
E deve tornare sulla dannata macchina prima che venga riconosciuto e partire verso chissà quali altre nefandezze.
Veramente una brutta storia.
"Ma non capisco - dice quello grande e grosso- la polizia non poteva fermare l'auto? Sarebbe bastato il controllo aereo; in tutto l'ovest ci sono sì e no quattro strade!"
E uno di quelli nuovi, quello coi baffi:" Eh, ma allora non hai seguito! La macchina cambiava colore! Quelli cercavano un'auto celeste e zac! quella ti diventava grigia o nera!" E aggiunge:
Senza contare i turbini di sabbia che la nascondevano all'occorenza e che potevano celarla per centinaia di miglia, vero e proprio controllo sugli elementi, capisci?
Infernale.
Anche Tranquilli si fa sentire: "C'e una cosa che non ho capito, quel tuo amico lì il Ned Kelly come ha fatto alla fine a farla saltare in aria. Che escamotage ha usato? Quale trucco? Questo almeno ce lo devi dire".
Insomma Tranquilli come te lo devo dire?
Non lo so, non ne ho idea. Mi sembrava di aver insistito a sufficienza su questo punto: non so tutto, non vedo la storia in ogni suo minimo particolare; solo a tratti. Qualcosa qui, qualcosa là. Brandelli, insomma. Ve lo ripeto: sono stati mesi infernali; lo seguivo attraverso la scia di inspiegabili disastri che punteggiavano una strada lunghissima che dal Sud-Ovest andava al Nord-Ovest.
E tutto quello che posso assicurarvi cè che quella macchina è saltata in aria, sotto i miei occhi, pochi giorni fa in quello stupido pub degli alieni .
Silenzio, di nuovo.
Insomma i ragazzi non vogliono rassegnarsi.
"Ci sono stato una volta in quel pub...non è distante" dice uno di loro.
"Perchè vedi -mi dice quello coi baffi- se il tuo amico è ancora là, lo potremmo chiedere a lui come ha fatto con l'auto".
"Certo questo e gli altri particolari che a te non sono chiari, no?"Aggiunge l'altro amico di Tranquilli.
Sto per spiegare loro che non so se Ned Kelly sia ancora là o per quanto tempo intenda trattenersi in quel posto.
E' probabile che non si sia mosso, ora che la sua storia è in attesa di finale. Giacchè un finale per questa storia ancora propriamente non c'è, dovrebbe starsene proprio là; in attesa. Ma per quanto tempo? E se volesse fare di testa sua una altra volta? Se se ne è già andato via con un piano ben preciso?
No, non credo che si muoverà.
La storia potrebbe finire proprio in quel pub a ben pensarci. O potrebbe essere interrotta così fra il lusco e il brusco ed essere dimenticato laggiù, per il caro Ned, sarebbe comunque meglio che essere abbandonato in altri posti, che so una prigione,sotto delle macerie o quello che piace pensare a voi.
Tutto dipende dalla riunione fissata a Sidney fra quattro giorni, in cui il grande capo, gli addetti alle vendite e gli azionisti decideranno come porre fine a questo fumetto che non vende.
Il mio personaggio è stato restio alle soluzioni propostegli, ne è sgusciato fuori come una biscia ed ora con una certa apprensione temo il peggio per lui.
Intanto il gruppo è partito.
Sono andati a chiedere all'ex Paul Garret un paio di chiarimenti.
L'escursione mi pare decisamente fuori porta, ma potrebbe valerne la pena.
Sono rimasto solo col proprietario.
Mi faccio portare un'altra colazione.
martedì 30 settembre 2008
Era accaduto molto in fretta. Prima in mano teneva le croci, poi, invece, la chiave dell'auto; come se una sorta di attrazione magnetica avesse guidato il suo gesto verso la vecchia Morris.
E a questo punto era già dentro.
Era accaduto tutto molto velocemente, non aveva fatto in tempo ad accorgersi di nulla.
Certo l'auto gli era piaciuta subito, come piace un'antichità o un pezzo di collezionismo.
Eppure se qualcuno gli avesse chiesto di che colore fosse, giusto per fare l'esempio più banale, non avrebbe saputo rispondere.
Celeste e bianca. O forse nera? Boh...
E anche gli interni. Erano lì, c'era addirittura dentro... e tuttavia quasi non li vedeva.
Aveva preso a pensare in un modo strano.
Quello non era il suo modo abituale di affrontare i problemi, nemmeno in linea teoirca.
C'era qualche cosa che non andava...
Un'interferenza...
Era sul marciapiede e invece che buttarsi a capofitto, di nuovo, in quella rissa estrema dentro il locale si era buttato in macchina. O meglio, ci si era trovato, quasi suo malgrado.
Allora aveva pensato che avrebbe preso due piccioni con una fava: sarebbe entrato nel locale coll'auto schiacciando quanti più vampiri gli riusciva. Un'operazione a costo zero: quell'auto infatti gli era stata raccomandata per essere distrutta.
E invece, messo in moto fatta la manovra e un attimo prima di fare un'epocale incursione in quel maledetto locale, una voce che si spacciava per quella dela sua ragione l'aveva allarmato e fatto desistere:
"Bravo stupido - aveva detto la voce- e se quei tizi là dentro si impossessano dell'auto come la mettiamo?
Puoi immaginare cosa scaturirebbe dalla collaborazione fra questo veicolo stregato e i succhia-sangue? Dovremmo chiamamare l'esercito, allora, per risovere l'intera faccenda".
E poi la voce, quella presunta voce della ragione e del buon senso, aveva chiaramente affermato che il vecchio Corradine era uomo che bastava a se stesso; che sapeva quello che faceva e quello che andava fatto, che gli aveva affidato la faccenda dell'auto e non quella dei vampiri.
Così, prima che potesse dire anche un scialbo "no" si era ritrovato a viaggiare su una strada deserta che attraversava il nulla, nemmeno consapevole della direzione che aveva preso.
Questo, ora la capiva, faceva parte del potere della macchina. Il reverendo lo aveva avverrtito: era subdola e micidiale. Strisciava come un serpente fra gli angoli bui e le pieghe della coscienza, con la voce della ragione e dell'occulatezza , agiva dietro le quinte da gran 'burattinaia. E chissà cos'altro era in grado di fare.
Lo avrebbe scoperto presro.
Si era lasciato Corradine era alle spalle; forse vivo forse morto...Aveva importanza?
Anche Kalgoorlie era alle sue spalle, affossata nella notte.
La strada scorreva automaticamente sotto la pancia del veicolo.
"Brutta faccenda -pensò Mr.Kelly- un monaco al volante di una macchina dannata...Gran brutta faccenda"
E a questo punto era già dentro.
Era accaduto tutto molto velocemente, non aveva fatto in tempo ad accorgersi di nulla.
Certo l'auto gli era piaciuta subito, come piace un'antichità o un pezzo di collezionismo.
Eppure se qualcuno gli avesse chiesto di che colore fosse, giusto per fare l'esempio più banale, non avrebbe saputo rispondere.
Celeste e bianca. O forse nera? Boh...
E anche gli interni. Erano lì, c'era addirittura dentro... e tuttavia quasi non li vedeva.
Aveva preso a pensare in un modo strano.
Quello non era il suo modo abituale di affrontare i problemi, nemmeno in linea teoirca.
C'era qualche cosa che non andava...
Un'interferenza...
Era sul marciapiede e invece che buttarsi a capofitto, di nuovo, in quella rissa estrema dentro il locale si era buttato in macchina. O meglio, ci si era trovato, quasi suo malgrado.
Allora aveva pensato che avrebbe preso due piccioni con una fava: sarebbe entrato nel locale coll'auto schiacciando quanti più vampiri gli riusciva. Un'operazione a costo zero: quell'auto infatti gli era stata raccomandata per essere distrutta.
E invece, messo in moto fatta la manovra e un attimo prima di fare un'epocale incursione in quel maledetto locale, una voce che si spacciava per quella dela sua ragione l'aveva allarmato e fatto desistere:
"Bravo stupido - aveva detto la voce- e se quei tizi là dentro si impossessano dell'auto come la mettiamo?
Puoi immaginare cosa scaturirebbe dalla collaborazione fra questo veicolo stregato e i succhia-sangue? Dovremmo chiamamare l'esercito, allora, per risovere l'intera faccenda".
E poi la voce, quella presunta voce della ragione e del buon senso, aveva chiaramente affermato che il vecchio Corradine era uomo che bastava a se stesso; che sapeva quello che faceva e quello che andava fatto, che gli aveva affidato la faccenda dell'auto e non quella dei vampiri.
Così, prima che potesse dire anche un scialbo "no" si era ritrovato a viaggiare su una strada deserta che attraversava il nulla, nemmeno consapevole della direzione che aveva preso.
Questo, ora la capiva, faceva parte del potere della macchina. Il reverendo lo aveva avverrtito: era subdola e micidiale. Strisciava come un serpente fra gli angoli bui e le pieghe della coscienza, con la voce della ragione e dell'occulatezza , agiva dietro le quinte da gran 'burattinaia. E chissà cos'altro era in grado di fare.
Lo avrebbe scoperto presro.
Si era lasciato Corradine era alle spalle; forse vivo forse morto...Aveva importanza?
Anche Kalgoorlie era alle sue spalle, affossata nella notte.
La strada scorreva automaticamente sotto la pancia del veicolo.
"Brutta faccenda -pensò Mr.Kelly- un monaco al volante di una macchina dannata...Gran brutta faccenda"
lunedì 29 settembre 2008
Certo, Mr. Kelly teneva in mano - e ben strette - le due croci che il prete gli aveva fornito poco prima. Era questa la ragione per cui i vampiri non lo aggredivano. Quegli oggetti li spaventavano e risvegliavano in loro un profondo senso di repulsione.
E tuttavia i non- morti avevano preso a farsi coraggio a vicenda; a convergere verso le due sole vittime di quella sera: lui e il prete. Si facevano sotto, scendevano a patti col lancinante dolore che quelle piccoli croci causavano loro. Ma erano decisi. Avevano fame.
Mentre Mr. Kelly girava su se stesso, per dare a tutti i suoi futuri potenziali carnefici, che lo accerchiavano in giri sempre più stretti, la loro dose di sofferenza, seguiva colla coda dell'occhio le mosse del Reverendo.
Uomo pieno di sorprese quel Corradine; la bruna era venuta a dare manforte alla rossa.
Questa volta le due avevano pensato di artigliarli il petto. Una raffica di graffi taglienti come rasoi aveva lacerato l'abito sobrio e scuro che legava il reverendo al suo ruolo, come una specie di divisa. Fu così che assecondando un innato gusto dello spettacolo, il reverendo si trovò a combattere quelle inpersonificazioni del male prima con una camicia a brandelli e poi a torso nudo.
Le croci che aveva tatuate ovunque gli furono di grande aiuto. Ancora una volta l'offensiva vampiresca si trasformò in una isterica ritirata.
Corradine, a questo punto si gettò nel cerchio di Mr. Kelly, spingendo quest'ultimo verso la vetrata.
Certo signori, quella vetrata che da lì ad un attimo sarebbe finita in frantumi a causa dell'impatto.
L'ultima cosa che Mr. Kelly riuscì a registrare era il grido del reverendo che gli intimava di occuparsi dell'auto.
Ecco questo il punto della situazione. Non erano passati che pochi secondi e Mr. Kelly si era rialzato, si era ripreso dallo stordimento e si apprestava ad agire. Sapeva che là dentro, nel buco delle bestie, Corradine avrebbe di certo aperto definitivamente la sua borsa da viaggio per estrarne qualche cura letale.
Cura per il male, intendo.
Si era anche reso conto che il prete era un osso veramente duro e sapeva il fatto suo.
Ciònonostante, sarebbe rientrato a dargli manforte, perchè qualsiasi altra scelta lo avrebbe relegato, di fronte al tribunale della propria coscienza, fra i vigliacchi.
E Mr. Kelly non era un vigliacco.
Fu a questo punto che si accorse di tre cose.
In primo luogo in mano stringeva ancora le due croci, non se ne era separato nemmeno quando aveva liberato il saio dai frammenti di vetro.
Dal locale arrivavano strilli agonizzanti. E non era la voce di Corradine. Non per ora almeno. E questa fu la seconda osservazione che investì la sua coscienza.
Infine la vide. Parcheggiata proprio lì a pochi metri da lui, nella sua linea inconfondibile e in tuttoil suo fascino sinistro E con questo siamo a tre.
E da qui tutto prese un'altra piega.
E tuttavia i non- morti avevano preso a farsi coraggio a vicenda; a convergere verso le due sole vittime di quella sera: lui e il prete. Si facevano sotto, scendevano a patti col lancinante dolore che quelle piccoli croci causavano loro. Ma erano decisi. Avevano fame.
Mentre Mr. Kelly girava su se stesso, per dare a tutti i suoi futuri potenziali carnefici, che lo accerchiavano in giri sempre più stretti, la loro dose di sofferenza, seguiva colla coda dell'occhio le mosse del Reverendo.
Uomo pieno di sorprese quel Corradine; la bruna era venuta a dare manforte alla rossa.
Questa volta le due avevano pensato di artigliarli il petto. Una raffica di graffi taglienti come rasoi aveva lacerato l'abito sobrio e scuro che legava il reverendo al suo ruolo, come una specie di divisa. Fu così che assecondando un innato gusto dello spettacolo, il reverendo si trovò a combattere quelle inpersonificazioni del male prima con una camicia a brandelli e poi a torso nudo.
Le croci che aveva tatuate ovunque gli furono di grande aiuto. Ancora una volta l'offensiva vampiresca si trasformò in una isterica ritirata.
Corradine, a questo punto si gettò nel cerchio di Mr. Kelly, spingendo quest'ultimo verso la vetrata.
Certo signori, quella vetrata che da lì ad un attimo sarebbe finita in frantumi a causa dell'impatto.
L'ultima cosa che Mr. Kelly riuscì a registrare era il grido del reverendo che gli intimava di occuparsi dell'auto.
Ecco questo il punto della situazione. Non erano passati che pochi secondi e Mr. Kelly si era rialzato, si era ripreso dallo stordimento e si apprestava ad agire. Sapeva che là dentro, nel buco delle bestie, Corradine avrebbe di certo aperto definitivamente la sua borsa da viaggio per estrarne qualche cura letale.
Cura per il male, intendo.
Si era anche reso conto che il prete era un osso veramente duro e sapeva il fatto suo.
Ciònonostante, sarebbe rientrato a dargli manforte, perchè qualsiasi altra scelta lo avrebbe relegato, di fronte al tribunale della propria coscienza, fra i vigliacchi.
E Mr. Kelly non era un vigliacco.
Fu a questo punto che si accorse di tre cose.
In primo luogo in mano stringeva ancora le due croci, non se ne era separato nemmeno quando aveva liberato il saio dai frammenti di vetro.
Dal locale arrivavano strilli agonizzanti. E non era la voce di Corradine. Non per ora almeno. E questa fu la seconda osservazione che investì la sua coscienza.
Infine la vide. Parcheggiata proprio lì a pochi metri da lui, nella sua linea inconfondibile e in tuttoil suo fascino sinistro E con questo siamo a tre.
E da qui tutto prese un'altra piega.
venerdì 19 settembre 2008
blood sucker
"Odio quando le cose acaddono così velocemente" si trovò a pensare Mr kelly, ex Paul garret rialzandosi dal marciapiede scuotendosi via frammenti di vetro. I pezzi di vetro che non aveva addosso, li aveva attorno a sè .
E sotto le scarpe; in effetti, si accorse, ogni passo era un sinistro e ovattato scricchiolare. O meglio il suono giungeva ovattato a lui.
Insomma la vetrata del locale era andata in mille pezzi e lui si era trovato catapultato fuori.
Riformulando: Aveva distrutto la vetrata del locale volandoci attraverso. Il vetro, si sa, a parte forse la trasparenza non possiede le stese doti di acqua e aria.
Ora il suo cervello analizzava la sequenza nel dettaglio e a velocità sostenuta. Un attimo prima lui e il prete stavano discorrendo e un attimo dopo eccolo letteralmente immerso nel finimondo. Ora ricordava bene il dettaglio delle mani del reverendo che, mentre lui lo stava accusando di essere un impostore, correvano alla borsa da viaggio e la posizionavano sul bancone. La pendola a muro che suonava senza motivo. Le mani del prete che allentavano le cinghie che chiudevano il suo bagaglio, la propria voce che diceva. "Vedi prete sono trascorsi venticinque minuti e oltre senza che niente sia accaduto".
In realtà mr. Kelly era sicuro che il reverendo Corradine stesse cercando di recuperare un'arma da fuoco per sparagli a bruciapelo e si sorprese quando dalla borsa appena socchiusa prese ad espandersi un inequivocabile odore di aglio.
Non aveva avuto il tempo di vedere cosa altro la borsa delle meraviglie contenesse perchè il reverendo lo aveva violentemente sospinto all'indietro e verso il basso strattonando verso l'alto il suo sgabello, dimostrando in questo un'incredibile forza e grande velocità.
Mentre si ribaltava dalla sua comoda postazione originaria per guadagnare il pavimento del locale Mr Kelly assistette ad una scena raccapricciante. Non solo il reverendo era molto forte e molto veloce. Era anche assolutamente pronto di riflessi.
Dietro il bancone l'incantevole rossa con la precisione di un orologio svizzero si era rapidamente trasformata.
Il viso le si era allungato, le orbite degli occhi si erano incassate. Il suo pallore era ora scosso da ventate di rosso.
E beh certo c'erano ora, in più rispetto a prima, un bel paio di prominenti canini e unghie lunghe e affilate come rasoi.
Forse la creatura aveva mirato direttamente alla gola del prete mentre questi si spostava o forse desiderava sfregiargli proprio il viso, giusto per rendergli l'agonia più umiliante. Sta di fatto che oltre l'epidermide le unghie non andarono. Erano calate. abbastanza in profondità però da portarsi via uno strato di faccia.
Faccia finta però.
Sotto una maschera modellata con cura su ogni volume del volto e resa in modo assolutamente realistico c'era il vero volto del reverendo.
No, non era una mosca. Il vero volto era identico a quello portato via.
Con un'unica consistente differenza, però: era totalmente coperto di tatuaggi a forma di croce.
Mr. Kelly comprese che quando Corradine aveva affernato che i monaci e il loro mentore erano coperti di croci dalla punta dei piedi alla radice dei capelli, non aveva usato un'iperbole. Intendeva letteralmente.
Il vampiro di fronte a quel campionario insospettato, inatteso e letale fece un repentino balzo indietro in un crollo
di bicchieri boccali e bottiglie dalle rastrelliere attrezzate alle spalle del bancone.
Intanto Mr. Kelly si era alzato per fornire manforte al compagno giusto per trovarsi fra due vampiri. Non erano ragazze. Dovevano essere due degli avventori che riposavano nell'ombra; ex minatori, gente grossa.
Fu allora che si accorse che le sue mani stringevano qualcosa.
E sotto le scarpe; in effetti, si accorse, ogni passo era un sinistro e ovattato scricchiolare. O meglio il suono giungeva ovattato a lui.
Insomma la vetrata del locale era andata in mille pezzi e lui si era trovato catapultato fuori.
Riformulando: Aveva distrutto la vetrata del locale volandoci attraverso. Il vetro, si sa, a parte forse la trasparenza non possiede le stese doti di acqua e aria.
Ora il suo cervello analizzava la sequenza nel dettaglio e a velocità sostenuta. Un attimo prima lui e il prete stavano discorrendo e un attimo dopo eccolo letteralmente immerso nel finimondo. Ora ricordava bene il dettaglio delle mani del reverendo che, mentre lui lo stava accusando di essere un impostore, correvano alla borsa da viaggio e la posizionavano sul bancone. La pendola a muro che suonava senza motivo. Le mani del prete che allentavano le cinghie che chiudevano il suo bagaglio, la propria voce che diceva. "Vedi prete sono trascorsi venticinque minuti e oltre senza che niente sia accaduto".
In realtà mr. Kelly era sicuro che il reverendo Corradine stesse cercando di recuperare un'arma da fuoco per sparagli a bruciapelo e si sorprese quando dalla borsa appena socchiusa prese ad espandersi un inequivocabile odore di aglio.
Non aveva avuto il tempo di vedere cosa altro la borsa delle meraviglie contenesse perchè il reverendo lo aveva violentemente sospinto all'indietro e verso il basso strattonando verso l'alto il suo sgabello, dimostrando in questo un'incredibile forza e grande velocità.
Mentre si ribaltava dalla sua comoda postazione originaria per guadagnare il pavimento del locale Mr Kelly assistette ad una scena raccapricciante. Non solo il reverendo era molto forte e molto veloce. Era anche assolutamente pronto di riflessi.
Dietro il bancone l'incantevole rossa con la precisione di un orologio svizzero si era rapidamente trasformata.
Il viso le si era allungato, le orbite degli occhi si erano incassate. Il suo pallore era ora scosso da ventate di rosso.
E beh certo c'erano ora, in più rispetto a prima, un bel paio di prominenti canini e unghie lunghe e affilate come rasoi.
Forse la creatura aveva mirato direttamente alla gola del prete mentre questi si spostava o forse desiderava sfregiargli proprio il viso, giusto per rendergli l'agonia più umiliante. Sta di fatto che oltre l'epidermide le unghie non andarono. Erano calate. abbastanza in profondità però da portarsi via uno strato di faccia.
Faccia finta però.
Sotto una maschera modellata con cura su ogni volume del volto e resa in modo assolutamente realistico c'era il vero volto del reverendo.
No, non era una mosca. Il vero volto era identico a quello portato via.
Con un'unica consistente differenza, però: era totalmente coperto di tatuaggi a forma di croce.
Mr. Kelly comprese che quando Corradine aveva affernato che i monaci e il loro mentore erano coperti di croci dalla punta dei piedi alla radice dei capelli, non aveva usato un'iperbole. Intendeva letteralmente.
Il vampiro di fronte a quel campionario insospettato, inatteso e letale fece un repentino balzo indietro in un crollo
di bicchieri boccali e bottiglie dalle rastrelliere attrezzate alle spalle del bancone.
Intanto Mr. Kelly si era alzato per fornire manforte al compagno giusto per trovarsi fra due vampiri. Non erano ragazze. Dovevano essere due degli avventori che riposavano nell'ombra; ex minatori, gente grossa.
Fu allora che si accorse che le sue mani stringevano qualcosa.
lunedì 15 settembre 2008
La pausa che Mr. Kelly si era concesso dopo la parola "vampiri" era quella di un grande oratore innamorato della propria perorazione.
Riprese subito il discorso interrotto, senza lasciare al prete il tempo di controbattere alcunchè.
Mi dici, caro prete, che te ne sei accorto quasi subito. Che vi addestrano a questo genere di cose. Chi? Dico io.
Cioè: chi vi addestra dato che il vostro guru è un pazzoide imprigionato dietro le sbarre? Ma non lo voglio realmente sapere, tutto sommato è irrilevante... E non accigliarti perchè ho chiamato pazzoide il tuo capo e mentore.
Insomma l'industriosa Kalgoorlie non è affatto industriosa. E nemmeno indaffarata. O meglio non lo è più, da quando sono arrivati loro.
In effetti questo buco ha proprio l'aria di una città fantasma, ma da qui a tirare fuori dal cilindro i vampiri, beh caro prete, ce ne passa!
Tuttavia voglio fare mia la logica del tuo discorso e ripercorrerlo per filo e per segno. I minatori erano le vittime ideali. Tutto il giorno nelle gallerie sotto terra, legati a questo posto, lontani da casa, senza amici e parenti che ne possano immediatamente denunciare la scomparsa. Non che siano morti tutti, certi sono semplicemente diventati dei "non vivi" al servizio dei loro nuovi signori. Un duro colpo questo per l'impresa privata e lo spirito di iniziativa...
I vampiri, devono aver fatto così: prima si sono saziati nel buio delle gallerie e delle miniere, da dove fra l'altro e con ogni probabilità sono anche sbucati, chissà magari qualcuno ha perforato la parete sbagliata ed aperto un varco che doveva restare chiuso...Poi quando le scomparse dei minatori rischiavano di diventare sospette si sono trasferiti in città e si sono dedicati agli abitanti. Prima i nullafacenti e i poco di buono. Gente che faceva tardi la sera e la cui mancanza non era avvertita da nessuno e poi tutti gli altri, o quasi.
Allo stato attuale se ne escono di notte dai loro nascondigli per servirsi di qualche malcapitato viaggiatore e da qui a a qualche tempo cambieranno aria per ricominciare da capo in un altro posto. Le miniere franeranno su se stesse e si incolperà un presunto gas tossico dei corpi rinsecchiti trovati in città.
Mi piace questa storia, pare un incrocio fra Bram Stoker, le notti di Salem e Richard Matheson...
Oh già e con una strizzatina d'occhio a quel film in cui James Wood accoppa i vampiri per conto del Vaticano!
E allora giacchè non ti puoi materialmente occupare di questa mole spropositata di lavoro, caro il mio prete, qual'è la tua proposta? Ma certo: che il sottoscritto, io, questo strano tipo in abito monacale che hai incontrato meno di un'ora fa, si occupi dell'auto infernale, così che tu possa concentrarti sul resto del lavoro.
Sai cosa penso prete?
Primo:penso che quella là fuori sia veramente una rogna su quattro ruote. Capiamoci, non credo che sia Christine o una sua parente, ma sono convinto che ospita qualche spiacevole sorpresa.Un mulga inferocito? Una bomba? Dieci mulga?
Gas nervino?
Secondo:Che la storia dei vampiri sia una solenne stronzata
Terzo: che non ci sia nessun James Brown ad Adelaide e nessun reverendo Corradine in un'umida e triste stanzetta di un manicomio criminale dall'altra parte del mondo, che non ci sia nessuna confraternita di monaci a lui devoti e che portano il suo nome.
No, prete, esiste un solo John Corradine, quello che cercavo fin dal principio di questa storia, ed egli mi conosce piuttosto bene perchè gli ho mandato letteralmente in aria la chiesa, ragione per cui egli è letteralmente furioso e mi vuole morto e infine che quest uomo mi sta proprio a fianco.
Perchè tu sei il reverendo Corradine.
Riprese subito il discorso interrotto, senza lasciare al prete il tempo di controbattere alcunchè.
Mi dici, caro prete, che te ne sei accorto quasi subito. Che vi addestrano a questo genere di cose. Chi? Dico io.
Cioè: chi vi addestra dato che il vostro guru è un pazzoide imprigionato dietro le sbarre? Ma non lo voglio realmente sapere, tutto sommato è irrilevante... E non accigliarti perchè ho chiamato pazzoide il tuo capo e mentore.
Insomma l'industriosa Kalgoorlie non è affatto industriosa. E nemmeno indaffarata. O meglio non lo è più, da quando sono arrivati loro.
In effetti questo buco ha proprio l'aria di una città fantasma, ma da qui a tirare fuori dal cilindro i vampiri, beh caro prete, ce ne passa!
Tuttavia voglio fare mia la logica del tuo discorso e ripercorrerlo per filo e per segno. I minatori erano le vittime ideali. Tutto il giorno nelle gallerie sotto terra, legati a questo posto, lontani da casa, senza amici e parenti che ne possano immediatamente denunciare la scomparsa. Non che siano morti tutti, certi sono semplicemente diventati dei "non vivi" al servizio dei loro nuovi signori. Un duro colpo questo per l'impresa privata e lo spirito di iniziativa...
I vampiri, devono aver fatto così: prima si sono saziati nel buio delle gallerie e delle miniere, da dove fra l'altro e con ogni probabilità sono anche sbucati, chissà magari qualcuno ha perforato la parete sbagliata ed aperto un varco che doveva restare chiuso...Poi quando le scomparse dei minatori rischiavano di diventare sospette si sono trasferiti in città e si sono dedicati agli abitanti. Prima i nullafacenti e i poco di buono. Gente che faceva tardi la sera e la cui mancanza non era avvertita da nessuno e poi tutti gli altri, o quasi.
Allo stato attuale se ne escono di notte dai loro nascondigli per servirsi di qualche malcapitato viaggiatore e da qui a a qualche tempo cambieranno aria per ricominciare da capo in un altro posto. Le miniere franeranno su se stesse e si incolperà un presunto gas tossico dei corpi rinsecchiti trovati in città.
Mi piace questa storia, pare un incrocio fra Bram Stoker, le notti di Salem e Richard Matheson...
Oh già e con una strizzatina d'occhio a quel film in cui James Wood accoppa i vampiri per conto del Vaticano!
E allora giacchè non ti puoi materialmente occupare di questa mole spropositata di lavoro, caro il mio prete, qual'è la tua proposta? Ma certo: che il sottoscritto, io, questo strano tipo in abito monacale che hai incontrato meno di un'ora fa, si occupi dell'auto infernale, così che tu possa concentrarti sul resto del lavoro.
Sai cosa penso prete?
Primo:penso che quella là fuori sia veramente una rogna su quattro ruote. Capiamoci, non credo che sia Christine o una sua parente, ma sono convinto che ospita qualche spiacevole sorpresa.Un mulga inferocito? Una bomba? Dieci mulga?
Gas nervino?
Secondo:Che la storia dei vampiri sia una solenne stronzata
Terzo: che non ci sia nessun James Brown ad Adelaide e nessun reverendo Corradine in un'umida e triste stanzetta di un manicomio criminale dall'altra parte del mondo, che non ci sia nessuna confraternita di monaci a lui devoti e che portano il suo nome.
No, prete, esiste un solo John Corradine, quello che cercavo fin dal principio di questa storia, ed egli mi conosce piuttosto bene perchè gli ho mandato letteralmente in aria la chiesa, ragione per cui egli è letteralmente furioso e mi vuole morto e infine che quest uomo mi sta proprio a fianco.
Perchè tu sei il reverendo Corradine.
domenica 14 settembre 2008
Il prete aveva parlato ancora. In modo serrato, nonostante il tono calmo. Durante questo monologo altri due oggetti erano scivolati dalle sue mani a quelle di Mr. Kelly, questa volta si trattava di due croci, una di S. Andrea e l'altra tradizionale.
Mr. Kelly l'aveva lasciato finire e intanto aveva svuotato la sua pinta.
Poi appena il suo compare ebbe taciuto, Mr Kelly esplose in una sonora risata. Era chiaro l'intento di imitare quel famoso attore comico, di colore, che aveva avuto un esordio di cariera in grande stile con W. Hill per poi finire più o meno in merda, ma sì... Eddie Murphy.
La risata gli attirò le occhiate diffidenti delle skimpy e suscitò una certa perplessità nel reverendo Corradine.
Mr. Kelly pareva ubriaco. Aveva dato una sonora pacca sulle spalle al suo compare e aveva preso a fare un discorso sconclusionato sul fatto che gli enti andrebbero ridotti e non moltiplicati e che, stando alle fonti, l'unica eccezione ammessa alla regola stava in psicologia, così almeno la pensava Jung nei tipi psicologici.
Poi guardando il suo compare dritto negli occhi gli aveva detto: Caro prete, come pretendi che possa credere a tutta questa maledetta faccenda?
Fino alla comparsa di John Brown potevo anche esserci cascato, ma l'ultima parte del tuo discorso è stata un delirio magistrale.
Ok, posso anche credere che ci sia ad Adelaide questo cattivo da operetta con dei superpoteri da stregone che calza un nome così ambiguo da poter essere sia quello di un martire americano sia quello di un cattivo da reggae music, uno sceriffo pieno di astio e rancori razziali irrisolti.
Posso anche credere che esista questa setta di buoni diavoli al servizio del reverendo Corradine, quello buono, quello detenuto nel manicomio criminale, intendo; questi monaci che si fanno chiamare come lui e che ne sono i gli occhi e le orecchie che egli ha sparso per il mondo... ma il resto della storia, beh il resto della storia non sta nè in cielonè in terra.
Il resto della storia pare malamente copiao dai soggetti di due film di John Carpenter, uno degli esordi e l'altro della decadente maturità.
Insomma saresti stato inviato nel continente dal vero John Corradine per uccidere il falso Corradine, che in realtà è un tipo chiamato James Brown. Inciso: per le ragioni già ricordate tu stesso ti chiami John Corradine; fine dell'inciso, inciso, sia detto fra noi, surreale e gustosissimo, il tuo infatti può essere preso come un omicidio nominale, cioè alla stregua di un tentato suicidio, comunque...
Vieni rallentato nella tua missione per due fatti imprevisti.
O meglio per due missioni collaterali che ti vengono affidate in contemporanea a quella, centrale e pensavo io, prioritaria, di sbarazzartti dell'impostore Brown.
Prima: Ti viene fornita quest'auto che è chiaramente un'auto infernale, capace di alterare la psiche di chi la guida e di far emergere gli istini criminali e antisociali che, da quanto mi dici, per quanto repressi, abitano nel profondo di ciascuno di noi. Da qui, per te, la necessità di ingaggiare con questo mezzo una lotta senza quartiere e altamente debilitante. Resistere all'auto è difficilissimo, la prospettiva di poterla sconfiggere poi appare quasi impossibile.
Mi hai detto che ne hai ricevuto le chiavi dal monaco che se ne era occupato, ci aveva provato per lo meno, prima di te. Anche lui a nome Corradine, anche lui della vostra circoscrizione di crociati. Il poveretto, hai affermato, era ridotto ad una larva, forse in seguito è addirittura morto... Cero fin che qualcuno è in grado di tenere testa a quel gingillo a quattro ruote, le possibilità che il gingillo stesso faccia del male in maniera incondizionata sono limitate e c'è da sperare che la somma dei tentativi di fiaccare l'anima nera di questa macchina cattiva, portino al suo progressivo sfinimento e, forse, alla sua vera e propria fine.
Ma per ora chi si infiacchisce e muore siete voialtri monaci, in quanto, mi dici, il tuo precursore non era il primo impiegato in questo ufficio.
C'è da chiedersi se il vostro Reverendo che vi ha destinato ad una tale missione suicida vi voglia in effetti almeno un po' di bene, Ed ecco che tu mi dici che forse nella presenza letale di questo strano aggeggio sul territorio c'è da ravvisare lo zampino del reverendo Brown, che abbiamo riconosciuto come il vero cattivo di tutta la faccenda.
Ma, ammetti, non ne hai le prove.
Ed ecco, come se la carne al fuoco non fosse già abbastanza, la seconda missione, che si accavalla alla prima e sposta nel tempo la terza, che lo ribadisco credevo per te essere la prioritaria. Giacchè l'elegante Morris del 62, che noi sappiamo in realtà essere un'auto infernale, pericolossissima e divoratrice di anime, non pare da sola bastare alla soddisfazione del tuo immenso ego combattivo, ecco cacciarti in questa faccenda dei vampiri.
Mr. Kelly l'aveva lasciato finire e intanto aveva svuotato la sua pinta.
Poi appena il suo compare ebbe taciuto, Mr Kelly esplose in una sonora risata. Era chiaro l'intento di imitare quel famoso attore comico, di colore, che aveva avuto un esordio di cariera in grande stile con W. Hill per poi finire più o meno in merda, ma sì... Eddie Murphy.
La risata gli attirò le occhiate diffidenti delle skimpy e suscitò una certa perplessità nel reverendo Corradine.
Mr. Kelly pareva ubriaco. Aveva dato una sonora pacca sulle spalle al suo compare e aveva preso a fare un discorso sconclusionato sul fatto che gli enti andrebbero ridotti e non moltiplicati e che, stando alle fonti, l'unica eccezione ammessa alla regola stava in psicologia, così almeno la pensava Jung nei tipi psicologici.
Poi guardando il suo compare dritto negli occhi gli aveva detto: Caro prete, come pretendi che possa credere a tutta questa maledetta faccenda?
Fino alla comparsa di John Brown potevo anche esserci cascato, ma l'ultima parte del tuo discorso è stata un delirio magistrale.
Ok, posso anche credere che ci sia ad Adelaide questo cattivo da operetta con dei superpoteri da stregone che calza un nome così ambiguo da poter essere sia quello di un martire americano sia quello di un cattivo da reggae music, uno sceriffo pieno di astio e rancori razziali irrisolti.
Posso anche credere che esista questa setta di buoni diavoli al servizio del reverendo Corradine, quello buono, quello detenuto nel manicomio criminale, intendo; questi monaci che si fanno chiamare come lui e che ne sono i gli occhi e le orecchie che egli ha sparso per il mondo... ma il resto della storia, beh il resto della storia non sta nè in cielonè in terra.
Il resto della storia pare malamente copiao dai soggetti di due film di John Carpenter, uno degli esordi e l'altro della decadente maturità.
Insomma saresti stato inviato nel continente dal vero John Corradine per uccidere il falso Corradine, che in realtà è un tipo chiamato James Brown. Inciso: per le ragioni già ricordate tu stesso ti chiami John Corradine; fine dell'inciso, inciso, sia detto fra noi, surreale e gustosissimo, il tuo infatti può essere preso come un omicidio nominale, cioè alla stregua di un tentato suicidio, comunque...
Vieni rallentato nella tua missione per due fatti imprevisti.
O meglio per due missioni collaterali che ti vengono affidate in contemporanea a quella, centrale e pensavo io, prioritaria, di sbarazzartti dell'impostore Brown.
Prima: Ti viene fornita quest'auto che è chiaramente un'auto infernale, capace di alterare la psiche di chi la guida e di far emergere gli istini criminali e antisociali che, da quanto mi dici, per quanto repressi, abitano nel profondo di ciascuno di noi. Da qui, per te, la necessità di ingaggiare con questo mezzo una lotta senza quartiere e altamente debilitante. Resistere all'auto è difficilissimo, la prospettiva di poterla sconfiggere poi appare quasi impossibile.
Mi hai detto che ne hai ricevuto le chiavi dal monaco che se ne era occupato, ci aveva provato per lo meno, prima di te. Anche lui a nome Corradine, anche lui della vostra circoscrizione di crociati. Il poveretto, hai affermato, era ridotto ad una larva, forse in seguito è addirittura morto... Cero fin che qualcuno è in grado di tenere testa a quel gingillo a quattro ruote, le possibilità che il gingillo stesso faccia del male in maniera incondizionata sono limitate e c'è da sperare che la somma dei tentativi di fiaccare l'anima nera di questa macchina cattiva, portino al suo progressivo sfinimento e, forse, alla sua vera e propria fine.
Ma per ora chi si infiacchisce e muore siete voialtri monaci, in quanto, mi dici, il tuo precursore non era il primo impiegato in questo ufficio.
C'è da chiedersi se il vostro Reverendo che vi ha destinato ad una tale missione suicida vi voglia in effetti almeno un po' di bene, Ed ecco che tu mi dici che forse nella presenza letale di questo strano aggeggio sul territorio c'è da ravvisare lo zampino del reverendo Brown, che abbiamo riconosciuto come il vero cattivo di tutta la faccenda.
Ma, ammetti, non ne hai le prove.
Ed ecco, come se la carne al fuoco non fosse già abbastanza, la seconda missione, che si accavalla alla prima e sposta nel tempo la terza, che lo ribadisco credevo per te essere la prioritaria. Giacchè l'elegante Morris del 62, che noi sappiamo in realtà essere un'auto infernale, pericolossissima e divoratrice di anime, non pare da sola bastare alla soddisfazione del tuo immenso ego combattivo, ecco cacciarti in questa faccenda dei vampiri.
mercoledì 10 settembre 2008
the Razors edge 2
Mr. Kelly si trovò sconsolato e un po' irrequieto a constatare che il quadro non si era semplificato da solo.
Anzi...pareva essersi complicato.
Il prete, forse indovinando la sua perplessità, forse per una semplice questione di routine o volendo ingannare il tempo supestite in amena conversazione chiese al suo compare se l'incontro col reverendo Corradine sull' Indian Pacific era stato così esaustivo da non avergli lasciato nemmeno un piccolo dubbio o perplessità.
Fu la goccia che fece traboccare il vaso.
Mr. Kelly lottando a piene mani e perfino coi denti con quella sensazione di non -senso crescente che lo circondava lo guardò ostile , cercando con un ultimo impossibile sforzo di mantenere la calma:
"Prete - disse- sei tu il reverendo Corradine o ho capito male?
Perchè fino a cinque minuti fa credevo che il reverendo in questione fosse morto, probabilmente saltato in aria colla sua dannatissima chiesa, dalle parti di Adelaide, ma tu mi hai prontamente dissuaso dalle mie ferree convinzioni affermando di essere tale reverendo. Ed ora che mi avevi quasi convinto, affermi che io avrei dovuto incontrare tale reverendo su un fottuto treno dal quale in effetti sono sceso non molto dopo la sua partenza".
"Ora - proseguì Mr: Kelly - o tu sei del tutto pazzo o stai cercando di far impazzire me, il che, mi pare essere uno sforzo inutile, gratuito e in parte controprocducente, almeno per quanto mi riguarda. Te lo chiedo per l'ultima volta: a che gioco giochiamo?".
Il prete era livido. Bevve un sorso di birra e la mano che serrava il bicchiere era tremante. Solo allora, una volta cioè che aveva posato il boccale sul banco con un tonfo sordo ed eloquente, parve ritrovare la calma. Guardò il suo Zodiac da polso conteggiò mentalmente il tempo a loro disposizione e disse:
"Mi pare chiaro che non hai incontrato il reverendo Corradine sul treno.
Questo complica dannatamente tutto quanto. Ho esattamente venticinque minuti per riassumerti e spiegarti tutta la faccenda, trascorso questo lasso di tempo sarà troppo tardi, almeno per le parole. Venticinque minuti non sono tanti e non sono nemmeno pochi. Cercherò di non fare divagazioni dotte o citazioni e di venire subito al sodo."
Mr. Kelly lo guardava speranzoso, era tutto orecchi.
"Hai fatto saltare in aria la chiesa nera di Adelaide, bel colpo; non era riuscito ai migliori. Tuttavia non hai ucciso il Reverendo Corradine.
Egli è vivo e vegeto e medita un qualche piano diabolico che occorrerà scoprire e sventare. Di questo, se non ti dispiace mi occupo io.
Quale sia questo piano diabolico non è noto. Sono state fatte delle ipotesi e ciascuna e peggiore e più sinistra dell'altra.
Qualcuno pensa che il reverendo voglia animare il Glouchester tree, l'albero gigante delle foreste del sud Ovest e con quello tutta la foresta e da lì muovere alla distruzione delle aree urbane e civili. Io ritengo che questa tesi sia assurda: le foreste in questione sono assolutamente troppo distanti da Adelaide e se questo fosse veramente stato il suo intento, il reverendo si sarebbe scelto una base operativa più vicina e comoda.
E' molto più probabile che quel pazzo scatenato voglia usare la sua nera stregoneria per animare gli Undici Apostoli, i grandi colossi di pietra che custodiscono la costa antartica, renderli dei giganti semoventi e ubbidienti e dirigerli contro qualche obiettivo che lui solo conosce.
E posso giurarti che quell'uomo è in grado di farlo.
C'è un altro piccolo fondamentale particolare che non posso tralasciare: Il Reverendo Corradine di cui stiamo parlando non è affatto il vero reverendo Corradine e non perchè il vero reverendo Corradine sia io o il tizio che avresti dovuto incontrare sul treno.
Il vero reverendo Corradine, che Iddio lo abbia in gloria ora e sempre, è un uomo giusto, un monaco severo dal fisico debilitato dal digiuno e con ogni centimetro di pelle del suo corpo ricoperto di croci tatuate, che sconta la parte restante della sua vita in una cella di un ospedale psichiatrico reo del solo crimine di aver combattutto il Male con metodi e un fervore che poco sono piaciuti all'epoca razionalista e moralmente ipocrita in cui ci troviamo a vivere.
La sua Chiesa non ha nulla da spartire colla Chiesa Nera, i suoi monaci nulla da spartire coi monaci mosca.
Corradine combatte la sua battaglia per un mondo migliore, non è ne un mostro nè uno stregone.
Giacchè ne lui ne noi, i suoi ministri, ci aspettiamo che marcisca per sempre entro quella vergognosa cella, quando ci leghiamo al suo gruppo lasciamo il nostro vecchio nome e assumiamo il suo. Qualora scappasse, i suoi segugi avrebbero un bel da fare nel rintracciarlo in una selva di omonimi . Una selva di monaci, tutti chiamati JohnCorradine e tutti tatuati di croci dalla punta dei piedi alla testa".
Il fatto che il maesro si trovi attualmente trattenuto dietro le sbarre di un ospedale psichiatrico - che Iddio maledica la stupidità umana - non significa che non sia meno attento e informato riguardo a quello che accade fuori, nel mondo. La nostra rete è efficiente e diffusa e noi siamo uomini di studio e integerrimi. E' così che il reverendo Corradine è venuto a sapere di questo tizio che si spacciava per lui, barricatosi in questo angolo remoto e poco acessibile di mondo, per poter svolgere, protetto da un nome in realtà temibile e dalla lunga distanza, i suoi loschi maneggi.
No caro amico, questo uomo malvagio, questa strega infernale che trasforma gli uomini in mosche e le mosche in monaci non ha nulla a che fare col reverendo Corradine, cui ha sottratto il nome e di cui infanga la reputazione.
John Brown.
Questo il nome..
Questo uomo da poco, che non ha nemmeno il coraggio di indossare il suo vero nome, si chiama dunque e in realtà John Brown.
E io sono stato inviato per ucciderlo.
Ma la macchina e i vampiri mi stanno rallentando."
Anzi...pareva essersi complicato.
Il prete, forse indovinando la sua perplessità, forse per una semplice questione di routine o volendo ingannare il tempo supestite in amena conversazione chiese al suo compare se l'incontro col reverendo Corradine sull' Indian Pacific era stato così esaustivo da non avergli lasciato nemmeno un piccolo dubbio o perplessità.
Fu la goccia che fece traboccare il vaso.
Mr. Kelly lottando a piene mani e perfino coi denti con quella sensazione di non -senso crescente che lo circondava lo guardò ostile , cercando con un ultimo impossibile sforzo di mantenere la calma:
"Prete - disse- sei tu il reverendo Corradine o ho capito male?
Perchè fino a cinque minuti fa credevo che il reverendo in questione fosse morto, probabilmente saltato in aria colla sua dannatissima chiesa, dalle parti di Adelaide, ma tu mi hai prontamente dissuaso dalle mie ferree convinzioni affermando di essere tale reverendo. Ed ora che mi avevi quasi convinto, affermi che io avrei dovuto incontrare tale reverendo su un fottuto treno dal quale in effetti sono sceso non molto dopo la sua partenza".
"Ora - proseguì Mr: Kelly - o tu sei del tutto pazzo o stai cercando di far impazzire me, il che, mi pare essere uno sforzo inutile, gratuito e in parte controprocducente, almeno per quanto mi riguarda. Te lo chiedo per l'ultima volta: a che gioco giochiamo?".
Il prete era livido. Bevve un sorso di birra e la mano che serrava il bicchiere era tremante. Solo allora, una volta cioè che aveva posato il boccale sul banco con un tonfo sordo ed eloquente, parve ritrovare la calma. Guardò il suo Zodiac da polso conteggiò mentalmente il tempo a loro disposizione e disse:
"Mi pare chiaro che non hai incontrato il reverendo Corradine sul treno.
Questo complica dannatamente tutto quanto. Ho esattamente venticinque minuti per riassumerti e spiegarti tutta la faccenda, trascorso questo lasso di tempo sarà troppo tardi, almeno per le parole. Venticinque minuti non sono tanti e non sono nemmeno pochi. Cercherò di non fare divagazioni dotte o citazioni e di venire subito al sodo."
Mr. Kelly lo guardava speranzoso, era tutto orecchi.
"Hai fatto saltare in aria la chiesa nera di Adelaide, bel colpo; non era riuscito ai migliori. Tuttavia non hai ucciso il Reverendo Corradine.
Egli è vivo e vegeto e medita un qualche piano diabolico che occorrerà scoprire e sventare. Di questo, se non ti dispiace mi occupo io.
Quale sia questo piano diabolico non è noto. Sono state fatte delle ipotesi e ciascuna e peggiore e più sinistra dell'altra.
Qualcuno pensa che il reverendo voglia animare il Glouchester tree, l'albero gigante delle foreste del sud Ovest e con quello tutta la foresta e da lì muovere alla distruzione delle aree urbane e civili. Io ritengo che questa tesi sia assurda: le foreste in questione sono assolutamente troppo distanti da Adelaide e se questo fosse veramente stato il suo intento, il reverendo si sarebbe scelto una base operativa più vicina e comoda.
E' molto più probabile che quel pazzo scatenato voglia usare la sua nera stregoneria per animare gli Undici Apostoli, i grandi colossi di pietra che custodiscono la costa antartica, renderli dei giganti semoventi e ubbidienti e dirigerli contro qualche obiettivo che lui solo conosce.
E posso giurarti che quell'uomo è in grado di farlo.
C'è un altro piccolo fondamentale particolare che non posso tralasciare: Il Reverendo Corradine di cui stiamo parlando non è affatto il vero reverendo Corradine e non perchè il vero reverendo Corradine sia io o il tizio che avresti dovuto incontrare sul treno.
Il vero reverendo Corradine, che Iddio lo abbia in gloria ora e sempre, è un uomo giusto, un monaco severo dal fisico debilitato dal digiuno e con ogni centimetro di pelle del suo corpo ricoperto di croci tatuate, che sconta la parte restante della sua vita in una cella di un ospedale psichiatrico reo del solo crimine di aver combattutto il Male con metodi e un fervore che poco sono piaciuti all'epoca razionalista e moralmente ipocrita in cui ci troviamo a vivere.
La sua Chiesa non ha nulla da spartire colla Chiesa Nera, i suoi monaci nulla da spartire coi monaci mosca.
Corradine combatte la sua battaglia per un mondo migliore, non è ne un mostro nè uno stregone.
Giacchè ne lui ne noi, i suoi ministri, ci aspettiamo che marcisca per sempre entro quella vergognosa cella, quando ci leghiamo al suo gruppo lasciamo il nostro vecchio nome e assumiamo il suo. Qualora scappasse, i suoi segugi avrebbero un bel da fare nel rintracciarlo in una selva di omonimi . Una selva di monaci, tutti chiamati JohnCorradine e tutti tatuati di croci dalla punta dei piedi alla testa".
Il fatto che il maesro si trovi attualmente trattenuto dietro le sbarre di un ospedale psichiatrico - che Iddio maledica la stupidità umana - non significa che non sia meno attento e informato riguardo a quello che accade fuori, nel mondo. La nostra rete è efficiente e diffusa e noi siamo uomini di studio e integerrimi. E' così che il reverendo Corradine è venuto a sapere di questo tizio che si spacciava per lui, barricatosi in questo angolo remoto e poco acessibile di mondo, per poter svolgere, protetto da un nome in realtà temibile e dalla lunga distanza, i suoi loschi maneggi.
No caro amico, questo uomo malvagio, questa strega infernale che trasforma gli uomini in mosche e le mosche in monaci non ha nulla a che fare col reverendo Corradine, cui ha sottratto il nome e di cui infanga la reputazione.
John Brown.
Questo il nome..
Questo uomo da poco, che non ha nemmeno il coraggio di indossare il suo vero nome, si chiama dunque e in realtà John Brown.
E io sono stato inviato per ucciderlo.
Ma la macchina e i vampiri mi stanno rallentando."
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