domenica 7 dicembre 2008

EPILOGO

Queste mattine sono devastanti: mi alzo colle ossa rotte, compromesse da un sonno intermittente in un abitacolo troppo srtretto, esco dall'auto, mi sgranchisco, cerco di farmi un caffè. E' più difficile del previsto, si tratta di raggiungere la zona dei bagni dell'area di servizio e sperare che l'acqua del rubinetto del lavandino sia abbastanza calda da sciogliere la polvere.
Chiaramente è una sistemazione provvisoria: attendo di guadagnare un po' di denaro e poi cercherò qualche cosa di più confortevole. Non ho nulla contro il fatto di dormire in auto, ma alla lunga è destabilizzante.
Per esempio non lontano da qui c'è un tizio che affitta vecchie roulotte, comprensive di televisione all'interno. Sono tutte mezze sgangherate, ma -credo- sufficientemente solide.
Si tratta ovviamente di surrogati di alloggio finalizzati a stare e non a muoversi. Tuttavia il posto è bello... sulla riva del mare.
Dopo il caffè mi faccio una doccia, poi un'altro caffè poi vado al lavoro.
Da quando mr. Kelly ha tirato le cuoia ho dovuto abbandonare il mio precedente posto di lavoro.Il che era in qualche modo nei patti, il prezzo da pagare a voler fare a modo mio. Ho anche pensato che scomparire non fosse una cattiva idea.
Lavoro nelle banane. Sembra una cosa pornografica ma non è così. Le banane sono portate dalle piantagioni con dei convogli appositi. Nello stabilimento i grossi ceppi vengono lavati sommariamente per poi ricavarne caschi che vengono divisi a seconda delle dimensioni del frutto: le banane piccole in una vasca le grosse in un'altra.
La catena è semplice: i tagliatori tagliano e lanciano i caschi ad un catcher che deve( dovrebbe in realtà) porli delicatamente nelle vasche di lavaggio. Qui il pusher crea delle file su un nastro che trasporta i caschi ai lavoranti che eseguono il controllo di qualità, sbarazzandosi dei frutti danneggiati e rovinati. Il percorso prosegue fino agli impacchettatori, ma ciò non mi riguarda, io mi limito a spingere via i caschi che il catcher infila nella vasca, avendo cura a che non finiscano sotto il rullo.
C'è sempre musica molto alta, una pausa sindacale di 15 minuti, ogni due ore e mezzo di lavoro e ovviamente la pausa pranzo.Nella mia posizione sono esposto agli spruzzi dei caschi che cadono in acqua, i catchers spesso infatti non sono molto delicati: lavoro sempre sotto la visiera del cappello, con guanti di lattice e doppio grembiule. Nella vasca spesso ci sono dei ragni arancioni grossi come noci. Non sono mortali. Beh ...comunque è anche per questo che usiamo i guanti.
Mentre le mani e il corpo si muovono la mente sceglie altre direzioni. Spesso mi ritrovo a pensare alla fine di Mr: Kelly, a come nessuno abbia notato quanto fosse provvisorio quel finale. C'è un breve paragrafo nei Tipi Psicologi in cui Jung spiega che le creature del mare e degli abissi sono simboli nell'esperienza psichica comune delle forze creative inconscie, così come le creature del cielo, per contrasto, lo sono della vita spirituale.
La creatura che vive negli abissi custodisce delle energie che l'eroe prima o poi dovrà resuscitare alla vita cosciente, energie assolutamente necessarie all'eroe e a lui intimamente legate; non è un caso che Gilgamesh recuperi dal ventre del mostro parte del suo clan e Pinocchio porti fuori dalla balena il buon Geppetto. C'è sempre un antro oscuro in cui è necessario scendere per risorgere più forti e consapevoli. E nell'attesa questo antro serba e custodisce, sia anche una manica di forzati come nella caverna di Platone.
C'è anche un'altra cosa a cui penso spesso. E' un pensiero che arriva sotterraneo per poi diventare luminoso e illuminante, come quando vi rendete conto che l'andatura dell'Uomo Ragno sulle lisce pareti della città di vetro è molto più simile a quella di una rana, che non a quella di un ragno. Anzi, per quanto non ve ne foste mai accorti è proprio quella di una rana.
La cosa a cui penso è questa. Che se tutta questa vicenda di Paul Garret ha un qualche senso forse esso deve essere cercato nella sfera dei nomi. I nomi sono una cosa seria.Claude Levi Strauss, fra le tante cose che racconta in Tristi Tropici, narra anche di come tribù diverse nel cuore dell'Amazzonia intrattengano coi nomi propri rapporti diversi, di come un clan li esibisca e l'altro li celi, considerandoli il mezzo per attentare all'integrità dell'individuo, una via d'accesso alla sua vulnerabilità. Cosa è infatti il nome se non il suono di quell'individuo? L'antropologo racconta anche che presso certe tribù è costume abbandonare il proprio nome per quello del nemico ucciso, o portare nomi diversi in diverse fasi della propria vita, affermazioni che troviamo anche nella monumentale opera di Frazer, o per essere più onesti, nella sua riduzione.
Se devo dire la mia preferivo il nome Garret a quello di Kelly. Di questo sono sicuro anche se non saprei dire cosa c'entra con tutto il resto. Si tratterà certamente di un corollario alla mia tesi principale e cioè che i nomi sono una cosa seria.
La prima pausa giunge inaspettata. La musica si spegne, poi con maggior lentezza anche le macchine. Il ritmo è stato frenetico e non ho avuto modo di accorgermi di niente, niente di quello che accadeva intorno a me, o che era accaduto, per tutta la mattina.
Esco a farmi un caffè nel capanno. Il sole è forte e caldo; il territorio piatto e sterminato da qui non si vedono nè i campi nè il mare. I ragazzi sono insolitamente inquieti, sia gli orientali che gli occidentali. Alcuni parlano a bassa voce, altri aprono le mani in gesti fatalistici o di aspra incredulità. Un gruppo rientra nel capannone centrale; incuriosito, li seguo.
Stando a dovuta distanza si additano la vasca delle seconde scelte che oggi inspiegabilmente è stata chiusa. Mi avvicino al gruppetto dei coreani. Nel nostro inglese sgrammaticato e da porto franco ci spieghiamo: il filippino che lavora all'imballaggio delle casse di venti chili, mi dicono, è stato trovato morto nella vasca in questione. "Come - mi chiedono- non hai notato gi agenti stamattina?" .
In effetti la vasca delle seconde scelte è piuttosto distante dalla mia posizione, quindi no, non mi sono accorto di nulla. Dicono che il poveretto, che era rimasto oltre l'orario di ufficio, volontario per la manutenzione dei rulli, è stato tirato sott'acqua, annegato e poi parzialmente smembrato.Alle autorità competenti è bastato un semplice colpo d'occhio per affermare che quello era chiaramente il lavoro di un coccodrillo. E di un coccodrillo bello grosso.
Come poi un coccodrillo sia arrivato dentro la vasca non si riesce a capire, come non si riesce a capire dove sia finito dopo. Le vasche sono lunghe una quindicina di metri ma mai più profonde di una decina di centimetri, tranne nella zona in cui le banane vengaono buttate dal catcher e spinte sul rullo dal pusher. Lì per una lunghezza di un paio di metri la profondità è di circa un metro e mezzo.
La faccenda puzza.
Puzza tremendamente.
...
Conoscevo il filippino, era indubbiamente un bravo ragazzo.
Cerco una sigaretta e me l'accendo.
Al diavolo, mi dico, qui c'è un filippino da vendicare.

2 commenti:

Wolf ha detto...

Maledizione, questa faccenda delle storie che finiscono mi ha sempre messo addosso un sacco di malinconia. Se poi la storia in questione andava avanti da oltre un anno, ed era inoltre una sorta di ponte metafisico che mi metteva in comunicazione con un amico dall'altra parte del pianeta, bèh, capirete...
In effetti la rievocazione finale dell'ambiente della "bananeria", come fosse una sorta di cartolina riassuntiva di tutto l'anno vissuto in Australia dall'autore, devo dire che restituisce a chi legge un senso di nostalgia per quei giorni così vicini eppure ormai lontani. Giorni in cui ci si scriveva da un lato all'altro del mondo, continuando a vivere le nostre (storie) vite macinando una dopo l'altra stagioni che oggi sono già parte del passato.
Tornare di colpo a quel tempo in cui la scena descritta accadeva realmente (filippino a parte, credo), costringe inevitabilmente a un bilancio sul periodo passato. Cosa si è raggiunto nell'ultimo anno e mezzo? Cosa si è perso per strada? Cosa si è mancato clamorosamente? Tralascio volutamente un ulteriore approfondimento di queste tematiche fin troppo personali e intimistiche, conscio che il finale vero e proprio, ovvero le ultime righe della storia, non sono che, naturalmente, un nuovo inizio...

c. ha detto...

bene bene si ritorna da dove si era partiti e come dice il caro wolf questo ragazzi non è che un nuovo inizio...anche perchè prima o poi qualcuno svuoterà la vasca dove ha visto orrenda fine il nostro fantomatico filippino e magari sarà stavolta uno di quegli spacconi dei tagliatori a rimetterci le penne da galletto...del resto coi coccodrilli invisibili non si scherza...
caro garret è stato un onore dividere un auto sgangherata con te sulle terre accidentate dell'australia e un piacere vedere questa storia prendere forma capitolo dopo capitolo