sabato 29 novembre 2008

CARO LETTORE

Caro lettore, chiunque tu sia, ovunque tu sia, se mi hai seguito fino a questo punto, occorrerà ora fare un altro piccolo ulteriore sforzo. Spero verrai a breve ripagato della fatica spesa. Del resto si sà, alla fine tutti i nodi vengono al pettine, ma tale operazione richiede neceseariamente il suo tempo.
Ricorderai che l'uomo col rubino si era fatto un punto di principio che io potessi vedere l'assemblea.
Ricorderai che ha vestito, come una madre puntigliosa e premurosa, i suoi leccapiedi da monaci, per giocarmi uno scherzo, un tiro mancino, che a suo dire meritavo.
Ricorderai anche che, nonostante la mezza promessa di mostrarmi il singolo volto di ogni mio potenziale carnefice, quelli stessi volti sono rimasti fin'ora ben celati da altrettanti cappucci monacali, al punto che, molto probabilmente, avrai avuto il comprensibile sospetto che questi signori siano in realtà i famigerati monaci ombra della chiesa del reverendo Corradine o Brown che dir si voglia.
"Ma come - avrai pensato- non sono tali monaci esseri di fantasia? Personaggi di un racconto a fumetti?"
Non sono la persona giusta per rispondere a questa domanda. Quello che mi preme sottolineare è che questa gente tiene il proprio viso attentamente occultato.
Ricorderai anche, caro lettore, che nel momento critico della votazione a favore del famigerato "lieto fine con probabile prole a carico", prima dell'ingresso dell'ottavo nano, questi signori mascherati si erano alzati quasi tutti in piedi in segno di approvazione.
Solo una manciata di monaci erano rimasti seduti manifestando così una posizione contraria rispetto a quella ampiamente condivisa. Se avessimo contato questi dissidenti avremmo scoperto che erano esattamente in sette.
Il capo, l'uomo col rubino, l'ha fatto.
Capiamoci ... l'ha fatto senza dare nell'occhio, facendo finta di non attribuire importanza alcuna alla cosa, ma , comunque, l'ha fatto.
Quello che ora l'uomo col rubino si sta chiedendo è esattamente quanto segue: "chi sono quei sette tizi?"
Ora devi sapere, caro lettore, che i sette nani non appartengono all'organico degli aventi voto. Sono esterni alla associazione, non hanno quote azionarie nè potere.
Può darsi - pensa il capo - che quei sette dissidenti siano proprio i sette nani. Può darsi che si siano sostituiti a sette aventi diritto e si siano infiltrati in aula.
La cosa più semplice da fare sarebbe quindi di chiedere a loro di palesare la loro effettiva identità, di togliersi il cappuccio, di mostrare il viso.
Se quei tizi fossero realmente i sette nani , così smascherati, altro non potrebbero fare che abbandonare l'aula ; con loro sarebbe anche smascherata la loro impostura.
Perchè allora l'uomo col rubino non intima loro di farsi riconoscere?
Possiamo fare tre ipotesi, almeno a me ne vengono in mente tre.
La prima.
L'uomo col rubino teme che i sette dissidenti siano realmente i sette nani. Teme che non abbiano alcuna intenzione a sottostare ad una democratica votazione. Teme soprattutto che, nascoste sotto i loro sai ,abbiano le loro micidiali picozze e che altro non chiedano che un pretesto per usarle. Insomma smascherarli significherebbe scatenare nel senso proprio del termine una carneficina.
Seconda.
L'uomo col rubino in realtà non è preoccupato dall'identità dei sette dissidenti quanto dal fatto che se questi fossero costretti a mostrarsi sarebbe subito dopo d'uopo che, per una formale questione di trasparenza e per un conteggio appropriato dei voti, anche gli altri monaci avessero a mostrare il loro volto. Se l'uomo col rubino è un collaboratore del reverendo Corradine - Brown o addirittura il reverendo stesso, non ci sarebbe da stupirsi se i suoi simpatizzani, e cioè quasi l'intera platea, fossero monaci mosche. Uno stupido atto intimidatorio nei miei confronti equivarebbe ad un atto di auto-smascheramento dalle disastrose conseguenze.
Terza.
L'uomo col rubino non sa se i sette dissidenti siano o non siano i sette nani. Tuttavia ha fatto un calcolo preciso: sa che se non chiederà loro di mostrare il loro volto, nel computo dei voti - statuto societario alla mano - essi conteranno automaticamente come azionisti del livello più basso. Questa situazione sancirebbe una perfetta parità fra i due gruppi schierati su opposte posizioni: quello dell'ottavo nano coi suoi sette seguaci e quello proprio del capo coi suoi sostenitori.
La soluzione che risolverà il rompicapo mi ricatapulta con un ruolo decisivo entro la mischia.

mercoledì 26 novembre 2008

Vi dico la verità: non me lo immaginavo così grosso. Basso sì, ma credevo tutto sommato che non avesse quella mole. E' il solito errore che facciamo in molti quando si parla di nani, pensiamo a quelli di Disney o a quelli da giardino. A dire il vero questo non pare nemmeno un nano, finchè non parla almeno. Non pare tanto un nano per quel costume da lottatore completamente fuori luogo qui all'ultimo piano del garattacielo Renzo Piano a Sydney, sala conferenze.
La voce dicevo, quella lo riqualifica subito come un nano, perchè è profonda e cavernosa e ricorda immediatamente gallerie sotterranee e miniere. E' come se vi chiedessero di tradurre il concetto di miniera in un suono: piccozze al lavoro? Assordanti perforatrici pneumatiche? No credete a me, la voce del nano dice di più e dice meglio.
Ho detto nano? Forse volevo dire il nano.Quale? L'ottavo, naturalmente.
Ovviamente il capo osserva il nuovo arrivato con un misto di disagio, stizza e apprensione. Tutti stati d'animo mal celati. Fra l'altro, ora che i miei occhi si sono riabituati alla luce diurna, posso constatare che non mi ero affatto sbagliato riguardo al look scelto dal capo e relativa descrizione. Non manca nemmeno l'anello rosso rubino che manda sinistri scintilli ad ogni movimento delle mani.
"Non mi aspettavo di vederla" commenta un po' imbarazzato il capo, ma senza scomporsi eccessivamente.
"Certo che nò, maledetto bastardo -tuona il nano- pensavi di fregarmi eh? Di impedirmi di partecipare a questa vostra stupida riunione del ..."
Il capo lo invita a moderare i termini, ma è palesamente a disagio. Deve essere rimasto particolarmente impressionato dal modo in cui, entrando, il nano ha spalmato su parete e pavimento, rispettivamente, le due guardie del corpo che a seguito del mio ingresso si erano evidentemente messe a pattugliare l'entrata della sala.
In effetti anche il costume da lottatore fa la sua porca figura. E la mole; credetemi la mole non è affatto irrilevante.
Il barbuto lottatore non si calma affatto. Ha un tono di voce altissimo e articola il suo atto di accusa fra imprecazioni e bestemmie.
Il capo nega ogni capo d'accusa, confidando che non ci siano prove concrete che lo possano incriminare.
Cosa vuole in sostanza quel dannato minatore?
Il capo lo sa benissimo, ma il nano lo ricorda a lui , a me e a tutta la platea vestita carnevalescamente da monaci. Dice, il nano, puntando e muovendo un dito che ingaggia una traiettoria che ci vorrebbe includere tutti quanti, queste testuali parole:
"Nutro un debito molto serio verso Paul Garret o come diavolo si fa chiamare ora. Non vi libererete di lui in quel modo disonorevole, ridicolo e abusato che chiamate lieto fine e non so cos'altro. No per Dio! Gli tributerete onore e rispetto!L'onore e il rispetto che gli dovete!"
In effetti la platea è sensibilmente impressionata, al punto che si sono riseduti tutti nei loro posti. A guardarli si ha l'impressione che, di fronte alla furia e alle minacce di quel piccolo (d'altezza) uomo muscoloso, vorrebbero tutti scomparire, sprofondare.
Questo depone a favore della loro umanità.: se fossero i veri monaci di Corradine- Brown non tradirebbero sentimenti così umani. Ma forse mi sbaglio.
Ora la palla rimbalza al capo. Il capo, già ve l'ho detto non è uno che si fa impressionare. Certo, ciò non significa che sia spavaldo e sottovaluti i suoi avversari; dico solo che non si fa impressionare, sa il fatto suo. Ed ha una carta da giocare. Una carta vincente, vi direbbe lui. Anzi ad essere precisi sarebbe da scrivere due carte: statuto e numeri.
Statuto:
Lo statuto afferma che in questi casi si procede ad una votazione. Quello che voi non sapete, voi lettori dico, ma che in questa aula sanno tutti, dico proprio tutti è che non tutti i voti sono uguali:
Il voto dell'ottavo nano, che è il maggiore azionista della compagnia - per questo la sua assenza risultava in qualche modo sospetta- vale ancora di più del voto del capo.
Il voto del capo vale molto di più di quello di un azionista normale.
Ci vogliono cioè molti azionisti normali per raggiungere il valore percentuale espresso dal voto del capo.
Fra gli azionisti normali alcune persone risultano più importanti di altre e in proporzione i loro voti.
Direte voi: se l'ottavo nano è il tizio con più potere perchè non fa lui il capo?
Il fatto è che il capo riconosciuto, quello col rubino tanto per capirci, può di solito avvalersi di una maggioranza compatta e fedele.
E, con ciò dicendo, abbiamo anche già spiegato la carta chiamata "numeri".

mercoledì 19 novembre 2008

"E' ridicolo, grottesco, assurdo!"
Mi si è sciolta la lingua; come talvolta mi capita l'immedesimazione con quel disgraziato di Ned Kelly risulta fugace, ma intensa; istantanea, ma totale. Lui parla per mezzo di me.
Dicevo che non accade molto spesso, ma quando accade il fatto ha la forza dirompente di una mareggiata.
Willie White ha interrotto la sua opera di pittura -straordinaria al buio. Le mani brillano, ma sono ferme. Sento su di me lo sguardo furioso del capo e quello dei leccapiedi che ha riunito alle mie spalle. Ecco cosa sembrano: un plotone di esecuzione con me messo dalla parte sbagliata, pronto a farmi sparare dritto nella schiena.
"Eì un'autentica stronzata"aggiungo.
Non accade molto spesso, dicevo e non dura mai a lungo. Giusto il tempo di ribadire il concetto e torno in me, pienamente in me, assolutamente in me.
Nessuno mi spara. Il breve attimo di silenzio è interrotto dalla voce calma e risoluta del capo. Le sue parole sono accompagnata dal crescere di una luce sempre più violenta e sempre più forte, più intensa, al punto che ferisce gli occhi, dà disagio fisico, provoca fitte alla testa.
Un trucco ben congegnato, una tempistica perfetta. Il capo ha finalmente premuto il bottone che rimuove i pannelli oscuranti dalle finestre. E' il tempo della votazione, il tempo del confronto e quel becero maestro di cerimonie senz'anima desidera che io possa vedere i volti dei carnefici, uno per uno.
Oltre al suo, ben inteso.
Il capo dice: "Che lei sia o non sia d'accordo con l'opzione del lieto fine colla prole a carico, non ha importanza. C'è qui un'assemblea, seduta alle sue spalle, pronta a votare. L'assemblea è stata convocata, secondo statuto, per esprimere un verdetto. La domanda che io pongo loro ,ora, formalmente è se condividono la proposta del lieto fine nelle modalità sopra proposte e illustrate. Faccio presente che il nostro statuto non contempla la possibilità che lei incida sull'esito della votazione, detto altrimenti il suo voto è nullo.
"Chi è favorevole alla mia proposta si alzi in piedi" dice il capo rivolto al suo pubblico e poi rivolto a me, con un tono di voce meno alto, ma sufficientemente alto da poter essere comunque sentito da tutti ,mi consiglia di girarmi e di non perdermi la scena.
In effetti la scena ha un suo perchè. I cento e più sedili dell'aula-conferenze sono occupati da un centinaio di...monaci. Sì signori, proprio così, tutti in saio, con tanto di cappuccio a coprire teste e celare visi; alla faccia della presunta trasparenza. Eccoli lì i monaci di Corradine... da non crederci. E perchè poi? Quale il senso di questa perfetta buffonata?
Particolare aggiuntivo non irrilevante: i monaci sono tutti in piedi.
A voler essere precisi dovrei dire quasi tutti; ce ne è in effetti una manciata rimasta seduta: immobil come delle statue di sale, tanto immobili da parere finti
"Spero che avrà apprezzato questa mia piccola messa in scena" commenta il capo sorridendo e strofinandosi le mani. Dice che era il minimo che potesse fare. Una piccola soddisfazione per riaversi di tanti problemi creatigli da me e Ned Kelly. Dice che dal colorito bianco assunto dal mio volto il suo scherzetto ha sortito l'effetto voluto. Mi chiede se ho paura. Dice che i monaci in fondo sono mie creature e che temerli da parte mia equivale a temere me stesso. Mi consiglia un'analista. Poi cambia tono e insinua che la messa in scena è finalizzata a sdrammatizzare una faccenda che io, secondo lui, sto prendendo troppo seriamente e personalmente; è il tentativo di vivere in modo carnevalesco quella che altrimenti io trasformerei in una piccola, rancorosa tragedia privata.
Dice anche che può darsi che tutti loro siano accoliti e simpatizzanti del Reverendo Corradine e che questo è il suo e il loro modo per dirmi che questa storia che io ho portato fin troppo oltre non si ha da scrivere.
O forse semplicemente l'azienda ha deciso di lanciare un nuovo stile, una nuova moda, ricchi gadget e cotillon.
Insomma parla molto per non dire niente.
Finchè qualcuno, dall'esterno, con molto fragore e scarsa educazione, abbatte la porta.

venerdì 14 novembre 2008

"Avrei dovuto ucciderti molti anni fa".
Mi guarda sorridendo, per come può sorridere la sua faccia deturpata e mostruosa.
Mi guarda e con calma dice: scacco matto.
Scacco matto: i buoni perdono, i cattivi vincono.
Scacco matto.
Questo uomo quindici anni fa ha cercato di uccidermi.
Forse mi sbaglio sono solo dieci anni; o piuttosto venti.
In effetti a volte il tempo mi pare sia passato troppo in fretta.
Del resto, altre volte il tempo pare non essere mai passato.
Prendiamo questa partita: sarebbe forse un errore affermare che è durata dieci anni? O il doppio?
Direi di no. Ed ora io ho perso, questa è la morale. Lui vince ed io perdo.
Inoltre quindici anni fa, o poco meno o poco più, anch'io ho tentato di ucciderlo. Ci sono andato molto vicino, o almeno così credevo. Ho fatto fuori molti dei suoi ragazzi, ho danneggiato alcune delle sue proprietà. Ma ora, tutto ciò non pare avere molta importanza.
Sua moglie e la mia parlano amabilmente di un sacco di cose. Sentiamo le loro voci arrivare dalla spiaggia, fra il battere ritmico delle onde sul bagnasciiuga, mentre osservano giocare i bambini.
Mio figlio e il ragazzo- mosca sono grandi amici. Inseparabili. L'aspetto del secondo non condiziona minimamente il primo.La qual'cosa non manca mai di stupirmi. Forse il mio ragazzo medita di darsi alla politica, coi progressisti e per lui questo altro non è che un buon esercizio.
Nemmeno il cane abbaia più al ragazzo-mosca. Anzi pare nutrire per lui una particolare preferenza, un profondo affetto.
Sembriamo un felice esempio di famiglia allargata.
Quest'uomo a cui i suoi propri folli esperimenti hanno deturpato il volto, è lo stesso uomo che circa quindici anni fa ha minacciato Adelaide e il continente. L'uomo che tutti chiamano e conoscono come reverendo Corradine, anche se in realtà si chiama Jaohn Brown, come lo sceriffo cattivo di una vecchia canzona antillese.
Beve la mia birra, fuma il mio tabacco.
Ammorba la mia vita e quella della mia famiglia.
Mi impone la sua presenza, la vista del suo viso mutante, inguatrdabile, effetto collaterale della sua stessa follia.
Insiste per giocare a scacchi.
Talvolta vince , talvolta perde.
Ma è chiaro che ha vinto l'unica partita che meritava di essere vinta.
E' per questo che sorride sempre.
Avrei dovuto ucciderlo tanti anni fa.

lunedì 10 novembre 2008

Lieto Fine con Probabile Prole a Carico

Emetto giusto un suono quello della prima lettera. E' una vocale : una I. Vorrei dire, starei per dire"Io" per poi aggiungere qualcos'altro, qualsiasi altra cosa, dettata dall'ispirazione del momento. Ma il suono muore lì a mezz'aria.
Sarà capitato anche a voi. Se dite una breve lettera ad alta voce, senza però prolungarne il suono, come se doveste subito aggiungerci una seconda lettera e poi una terza, a formare una sillaba e poi di seguito una parola , una frase, un discorso, se vi interrompete bruscamente dopo la prima lettera e vi azzittite avrete l'impressione che quella lettera non sia mai stata pronunciata.
Dico la mia I, ma non la sente nessuno.
Perchè mi sono interrotto? Facile: il capo ha deciso di porre fine alla snervante attesa, dovuta al mio meditabondo silenzio, prendendo la parola.
Lui parla, io taccio. Niente colpi di testa da partedi mia. Meglio se lui parla. Io e Lui non siamo in competizione. Non ha senso competere con lui, è una guerra persa in partenza. Meglio fargli dire tutto quello che ha da dire e poi togliersi di mezzo, abbandonare la festa, il processo, la farsa e farsi una birra in santapace.
Fra l'altro so cosa sta per dire. L'avrebbe detto comunque, solo se io avessi detto qualcosa avrebbe fatto la sua programmata sparata con un po' più di ritardo. Stando io zitto tutto procede molto più velocemente e agevolmente. Il suplizio è più sopportabile per tutti, me incluso.
Capo incluso. Pubblico incluso, credo. A meno che il pubblico non ami questo genere di situazioni frustranti e imbarazzanti, a meno che dico, non sia un pubblico di vampiri perennemente assetato di emozioni forti o meno forti che siano, parlo delle emozioni.
Ma non penso sia il caso; credo siano lavoratori e uomini d'affari: per loro perdere tempo è un grave vizio, il peggiore forse.
Ecco cosa dice il capo: " Vedo che tace e voglio trarla d'impaccio. Le farò una proposta che non potrà rifiutare. Credo che lei sappia già cosa intendo proporle. E' un pacchetto noto, molto usato, molto sicuro. Lo si vende e lo si acquista sempre nello stesso formato, ma ciò non significa che il prodotto non sia suscettibile di qualche modifica e adattamento. Anzi sono l'elasticità e la flessibiltà del prodotto a renderlo vincente.
Per mettere fine a questa sua storiella inconcludente e dispendiosa e a suo modo sovversiva e di cattivo esempio, le si propone , le si consiglia, ma badi in modo convinto, quasi ferreo, di optare per un LietoFine con Probabile Prole a carico".
Non batto ciglio.
Il capo continua: "Una bella casetta sull'oceano, una moglie, dei bambini, un cane.
Non le piace la casetta? Possiamo sostituirla con un camper con veranda o una vecchia roulotte affossata, ma funzionale.
Sono passati... diciamo quindici anni? Preferisce dieci? Venti? ...Per me è uguale... e il suo personaggio, quello che ora ci dà un sacco di noie perchè si ostina a voler finire la storia a modo suo, quel Kelly - è così che si fa chiamare no?- beh quel Kelly ha messo la testa a posto.
Basta fughe, sparatorie, vampiri, preti folli e queste buffonate. Il nostro uomo ha capito il senso vero della vita, i valori profondi e si appresta a finire in modo dignitoso il suo tempo.
Non dobbiamo entrare nel merito della facenda, dire che lavoro fa, come si chiamano i marmocchi o di che colore è il cane. L'importante è dare l'idea di un uomo pacificato con se stesso e con gli altri."
Sò dove vuole arrivare.
Dice il capo che che questo salto in avanti, nel futuro, permette di riprendere la storia un domani, qualora le statistiche d'acquisto e gli indici di gradimento indichino sia il caso di farlo.
E' uno stratagemma, dice il capo, che allontanando gli eventi nel tempo rende meno urgenti spiegarli.
E'uno stratagemma che il suo gruppo editoriale ha già usato 665 volte con successo.
Nel 20% dei casi, le storie sono state riprese e ampliate con le modalità sopra esposte.
E' una tipologia di finale, LFcPPaC, che mi lascerebbe, insiste il capo, perfino la possibilità di riunire in rituali e frequenti partite a carte o a scacchi, ovviamente sublimazione metaforica del conflitto, protagonista e antagonista della storia.
Mentre magari le loro mogli scambiano pettegolezzi davanti ad una tazza di caffè
E i loro figli giocano assieme sulla spiaggia.

mercoledì 5 novembre 2008

DIFESA, SECONDA PARTE

Era un episodio con una sua forza interna: il grande gigante di rifiuti che terrorizzava Alice Springs, dopo essere uscito da qualche impensabile piega del Simpson desert o dalle Olgas. Mi sarebbe piaciuto vedere, ora che mi ci fate pensare, cosa sarebbe diventato nelle mani capaci di Willie White.
Ma il buon Willie ora non c'entra, come non c'entrano loro, gli aborigeni.
Torniamo al capo, torniamo a noi.
Basterà un mea culpa generale? Si accontenterà di tanto e in fondo di così poco, l'uomo dal naso aquilino e dal rubino intonato alla cravatta? Qual'è il suo vero scopo? A cosa mira?
E' vero la storia doveva essere semplice e lineare.
E invece è così astrusa e complessa che qualcuno la ha perfino definita delirante.
Le citazioni dovevano essere poche e facilmente comprensibili.
E invece esse formano un sottotesto esteso e intricato.
Congedare Paul Garret doveva risultare, qualora se ne fosse presentata l'occorrenza, una pratica semplice ed indolore ed egli invece è ancora in giro. Ancora vivo e con un nome diverso, vale a dire un'altra identità.
Mi chiedo: hanno un punto debole le lagnanze del capo? E' possibile fare breccia nel muro delle sue solidissime critiche? Come posso impostare la mia difesa?
Sarebbe sbagliato smentire l'evidenza. Sbagliato ai fini che mi propongo; cioè, in concreto, antiproducente.
Posso lavorare sul perchè, a patto che io riesca a pensare ad una velocità considerevole. Il silenzio che già pesa, in attesa della mia risposta, non può protrarsi in eterno. E nemmeno a lungo. Se non sarò io ad interromperlo potrebbe essere qualcun'altro e con esiti a me ignoti. Dicono di essere gente per bene, rispettabile. Tuttavia per me sono solo presenze nel buio. Potrebbero decidere oggi di infrangere il ferreo codice etico delle persone civili.
La tensione che sale istante dopo istante, percepibile e palpabile nell'aria scura, amplificata dal silenzio, rende questa possibilità tutt'altro che remota.
Quale possibilità? Ovvio:la possibilità che mi saltino addosso, che mi sbranino che mi facciano sparire.
La mia parte razionale mi grida di non lasciarmi influenzare, di non farmi atterrire. Questi sospetti, dice, sono dovuti al contesto inconsueto e sinistro.
E, dice, se il contesto è stato appositamente preparato in questo modo è per confondermi ed intimorirmi.
E se si vuole confondere una persona lo si fa per disarmarla dai suoi buoni argomenti.
In conclusione, da qualche parte devo avere sicuramente dei buoni argomenti, altrimenti non avrebbero messo in piedi tutto questo macchinoso teatro di tensione. Ma dove diavolo sono questi buoni argomenti, che sicuramente ho? Perchè non li trovo?
Concentrati sul perchè, ragiona. Non farti intimorire, non farti suggestionare.
Provo un argomento:"E' la vostra casa rivale. Mi hanno pagato perchè boicottassi in toto il vostro progetto. Pagavano bene, Erano anche simpatici..."
Mi accorgo che è controproducente, fortuna che la prova era solo mentale.
"Cosa vi aspettavate? Sono evaso da un noto manicomio criminale, l'unico in realtà, di Gotham City, evaso in seguito al cataclisma che ha spazzato via la città e lo stesso manicomio, un evaso, lo ripeto. E un folle. Non certo uno scrittore! Anche impegnandomi, la storia non poteva che essere confusa e delirante!"
No, insistere colle citazioni potrebbe sembrare un atto di ostentata mancanza di rispetto.
Cosa allora? Un codice, ecco sì un codice! Il racconto è totalmente cifrato e destinato ai servizi segreti. Sono un agente del governo.
No, non ho appoggi. Sarei immediatamente smascherato.
L'unica soluzione accettabile è ammettere che il racconto è così perchè mi andava di scriverlo così.
Perchè le loro storie semplici e lineari non mi sono mai piaciute, così come i loro personaggi tutti di un pezzo e capacissimi di vincere o morire in orario.
Ora glielo dico.

lunedì 3 novembre 2008

DIFESA

Eh, che potrò mai rispondere? Non che il capo abbia tutti i torti, non che il suo discorso non abbia un fondo di vero. Dal suo punto di vista almeno. Su un punto però non è stato onesto: gli aborigeni.
Avevo scritto un episodio sugli aborigeni.
Gli aborigeni sono una questione spinosa. Anche la letterattura specializzata, di viaggio e divulgativa non sa mai come affrontare il problema: si tratta tutto e poi ci si dice: manca niente? Oh beh... mancherebbe la questione degli aborigeni e se non l'abbiamo trattata fin ora è perchè è la parte più difficile della faccenda.
Gli aborigeni non hanno più rispetto di sè.
Non hanno più rispetto dei propri luoghi;
e non hanno più rispetto degli altri.
Il tentativo del governo australiano di modernizzare, occidentalizzare i bambini aborigeni sottraendoli dalle loro famiglie e affidandoli a famiglie bianche è stato fallimentare per almeno due ragioni: da un punto di vista umano, questo punto si commenta da solo, e da un punto di vista culturale: rompere la struttura interna di un clan equivale ad interrompere il flusso generazionale delle tradizioni, per definizione orale. Questa gente non sa più chi è, nè cosa vuole. In compenso, e comprensibilmente, è piuttosto arrabbiata. Ma questa rabbia è sterile. Il governo australiano per fare pubblica ammenda delle sue malefatte passate, dai primi immotivati massacri, alla espropriazione indebita di terra, agli episodi vergognosi della generazione rubata, è diventato prodigo e si fa un punto d'onore e di principio di sostenere economicamente questa gente esentandoli in pratica da qualsiasi seria attività lavorativa.
Gli aborigeni australiani ricordano i pellerossa americani. Sono i fantasni di se stessi.
Non dovrebbe stupire che volessi evitare di trattare l'argomento. Cosa ci si aspettava da me? Che sottoscrivessi quell'immagine da film esotico, o da catalogo vacanze in cui l'aborigeno è il custode imperscrutabile di luoghi sacri e antichi segreti? Atavico e dignitoso? Ma questo sarebbe fare il gioco della disinformazione.
Nell'episodio che avevo scritto prendevo spunto dal degrado in cui questi uomini, che hanno perso la coscienza di essere stati custodi di luoghi privilegiati, lasciano detti luoghi. Erano pagine dure in cui la sporicizia abbandonata nel deserto, cocci di vetro e decine di migliaia di lattine di birra accartocciate si forgiavano in un orribile gigante al soldo della chiesa di Corradine.
Il reverendo in quella circostanza aveva finito per l'essermi simpatico. Stava riciclando.

domenica 2 novembre 2008

Accuse

C'è un attimo di silenzio, poi il capo comincia a parlare e Willie White a scrivere. E' ufficiale, sta redigendo un verbale. C'è sempre un qualche fesso che deve scrivere il verbale. Le sue mani si muovono veloci bucando l'oscurità.
Il capo dice:
"Il fumetto non vende. Questo lo sa anche Lei."
Il fatto che mi si rivolga dandomi del lei mi inquieta sempre un po'; dà alla situazione quella nota formale, ufficiale che non potrebbe mancarle. Senza quel Lei la farsa non sarebbe completa e perfetta.
"Ritengo non sia colpa del disegnatore"
Concordo, il disegnatore è bravissimo. Concordo mentalmente, come avrete capito, intanto il capo procede.
"Ritengo invece che sia colpa sua".
Reputo saggio starmene zitto.
Che avrà da scrivere Willie White? Non si dà tregua, scivola così veloce sulla carte che pare impazzito, in preda ad un raptus. Da quasi l'impressione che non stia affatto scrivendo, che stia... che so...Sì proprio così, che stia disegnando, come quei veloci e dotati bozzettisti che vengono chiamati ai processi in cui la stampa e gli obiettivi non sono ammessi.
Il disegnatore della storia io non lo ho mai conosciuto, vive e opera nel più totale anonimato. Niente nomi, nè indiscrezioni. Sul principio credevo di avere a che fare con un'intero team, ma lo stile è troppo uniforme e troppo poco imitabile. Il capo su questo ha ragione: il disegnatore opera al di là di ogni possibile critica. E' anche un tipo preciso per quello che riguarda le scadenze. Dote questa, la puntualità, di solito preclusa ai geni. Ho sempre pensato che fosse una sorta di mostro, di spettro.
Ora che ci faccio caso ogni tanto infila la sua sigla in modo dissimulato in una vignetta: un paio di lettere nell'insegna cadente di un bar, in un graffito lasciato a metà su un muro, in un'assurda onomatopea.
Un doppioW.
Sicuramente una coincidenza.
L'idea di tacere si è rivelata giusta: il capo ha ripreso a parlare. Spero non si interrompa ancora, spero che faccia una tirata unica così da potere uscire da questa tana buia, alla luce del sole il più presto possibile e potermi concedere un caffè doppio o una birra in un'altra tana buia. Si sa questo tipo di incontri aumentano sudorazione e salivazione e un sacco di altre cose, in una parola mettono una gran sete.
"Innanzi tutto - dice il capo- non mi sono mai trovato d'accordo sul taglio della storia. Lei sa bene che non è Nostra abitudine interferire cogli autori, tuttavia, in sede di contratto, le avevo chiesto di adempiere ai criteri che rendono il nostro gruppo unico e concorrenziale, non di stravolgerli.
Ci piacciono storie lineari, chiare, sintetiche.
Pochi personaggi e ben caratterizzati.
Concretezza e rispetto dei generi.
Le avevo esplicitamente chiesto di trattare la tematica aborigena, con un occhio di riguardo a questa gente ai loro usi e costumi, a ciò che di intrigante come popolo possiedono, a ciò che di loro colpisce la fantasia atrofizzata dei cittadini occidentali. Si è abilmente sottratto anche a questo compito.
Le avevo esplicitamente chiesto di limitare al minimo le citazioni. Solo citazioni pertinenti all'argomento e comprensibili dal lettore medio. Lo scopo delle citazioni è invogliare il lettore a comprare testate gemelle o albi arretrati.
Non mi pare che mi abbia dato ascolto, neanche su questo punto, anzi...
Ma quello che aggrava ulteriormente la situazione fino a renderla imbarazzante è che, ci pare, Lei sia stato restio a concludere la storia, in modo dignitoso per noi, per lei e per il suo personaggio, quando gliene è stata data la possibilità.
Di più ha tergiversato adducendo scuse surreali e ha fagocitato ingenti somme stanziate esclusivamente per emergenze - e parlo di emergenze reali- per scorrazzare, a nostre spese, in lungo e in largo per il continente in cerca di un fantasma.

sabato 1 novembre 2008

conigli per gli acquisti

se vi capita visitate questo blog, una realtà un po aliena lo devo ammettere a quella di mondomosso ma senz'altro con i piedi più piantati per terra senza perdere in fantasia