giovedì 14 agosto 2008

Cattive abitudini

Con il passo traballante di un "non vivo" calco l'asfalto già fumante della piccola stazione di servizio verso la porta a vetri.
Un tizio nerboruto e dalla lunghissima barba fa benzina al suo monumentale autotreno. Noto distrattamente almeno un paio di fuoristrada parcheggiati, un' improbabile utilaria e un vecchio autobus in disuso, colle ruote a terra, rimpiegato come appartamento di lusso.
Varco la soglia e sporgendomi sul bancone ordino una colazione abbondante. Essa consta di due fette di pane tostato imburrate, due uova in camicia, alcune stiscioline di bacon abbrustolito, una fritella di patate mai troppo grande e un pomodoro arrosto che,comunque, verrà avanzato.
La spigliata signora mi invita a servirmi il caffè da solo e mi indica il bollitore ancora fumante e la polvere solubile.
Lo faccio immediatamente e aspettando la colazione mi siedo al discreto tavolino.
Sono passate già tre ore da quando mi sono svegliato.
Era l'alba o poco dopo; la notte era trascorsa fra sogni confusi.
In uno di essi ero il reverendo Corradine. Il pensiero mi fa ancora accapponare la pelle.
Ancora in auto, non del tutto uscito dai fumi del sonno, avevo constatato di non aver ricevuto visite spiacevoli: né canguri mannari, nè killer seriali e nemmeno altro.
Certo i muscoli delle braccia e delle gambe erano intorpiditi e un principio, inoltrato, di cervicale mi ricordava che non siamo fatti nè di gomma nè di ferro.
Ma di altri danni non ce ne erano .
Avevo cercato invano una sigaretta in un pacchetto vuoto. Anche dal thermos del caffè non era uscita che qualche goccia scura. "Nel dormiveglia devo essermi abbondantemente servito, senza che ora possa ricordarmene" ricordo di aver pensato.
Come se non bastasse un appetito maschio mi agitava le visere.
Un centinaio di chilometri mi separavao dalla prima roadhouse, quindi avevo messo in moto. Le Fisherman's supestiti erano inevitabilmente finite durante il tragitto.
Ed eccomi finalmente di fronte alla mia colazione. Stanco, ma felice; con una tazza di caffè in mano che lentamente sta raggiungendo una temperatura sostenibile dall'interno del mio apparato.
Indubbiamente uno dei momenti, in assoluto, migliori della giornata.
Sfortunatamente, per me, qualcuno ha deciso di rovinarmelo.
Uno dei vizi, delle cattive abitudini insomma, che non riuscirò mai a perdonare agli australiani è questa loro debolezza che non gli permette di resistere alla vista di un uomo che si nutre in solitudine.
Forse dipende dal fatto che certe zone del loro paese, quasi tutte in realtà, sono spopolate.
Sta di fatto che per i locali fare due parole è quasi un istinto primordiale e scelgono sempre il momento in cui il malcapitato, io questa volta, ha deciso di nutrirsi in santa pace, senza preoccupazioni di sorta e senza l'obbligo di una conversazione.
Ed eccolo lì. Il tipo si siede di fronte a me prima ancora che abbia finito di chiedere "posso accomodarmi".
Io lo guardo da dietro un boccone di bacon penzolante dalla forchetta, invitare l'altro suo amico al mio tavolo.
Fra poco a noi si unirà anche l'energumeno che stava facendo benzina poc'anzi.
La mia colazione è ancora lì, ma ha già quasi un'altro sapore. Fra l'altro odio, detesto profondamente mangiare con degli estranei. La mia voracità è da sempre un fatto privato.
C'è un ultimo disperato tentativo chre posso fare per salvare me e la mia colazione da tutto questo, prima che sia troppo tardi.
Ora i rudi uomini delle desolate terre desertiche dell'interno così come anche i loro cugini del lontano Ovest sono profondamente omofobi.

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