In alcuni appunti di viaggio di “Le vie dei canti”, Bruce Chatwin indugia sugli effetti imprevisti dell’avvento e del superamento dell’anno Mille, atteso dai contemporanei con vero e proprio terrore, come limite temporale estremo, a cui un mondo che invecchia –il nostro- non sarebbe sopravvissuto : “Come scrisse il vescovo Glabre in un verso bellissimo <<>>”.
Così fra gli effetti, questi non collaterali e non imprevisti, della Controriforma ci fu il pullulare dei Sacri Monti, di cui la zona insubrica fu ampiamente dotata. La logica estetica dei Sacri Monti è quella di sfruttare le suggestioni di alcuni luoghi paesaggistici come fondale spettacolare per l’ammaestramento evangelico. Dio crea, la chiesa sceglie, il credente stempera il senso di colpa nella commozione per il creato. Non stupisce, poi, che proprio la zona prealpina abbia accolto l’architettura sacra del Sacro Monte, essendo detta zona l’estremo avamposto prima del pericoloso mondo riformato. Il santuario come un forte, le cappelle come una linea di ordinati soldati.
L’inaugurazione di Villa Baragiola (Masnago) coincide con quella, al suo interno, di una mostra che si propone di rilanciare i Sacri Monti, quello di Varese in testa, come luoghi di arte e natura: arte sacra e natura creata.
Massimo Zanello, assessore della cultura in Lombardia, e Attilio Fontana si dicono decisi a sfruttare al meglio la pubblicità prestigiosa che il riconoscimento dell’UNESCO conferisce ai Sacri Monti lombardi e piemontesi e, fra le righe, a farla fruttare economicamente.
Curatore della mostra è Paolo Zanzi che, già dal lunghissimo titolo della stessa, insiste su silenzio e stupore ( l’esatto opposto di quanto la visita inaugurale ha garantito). “L’innocenza negata, il dubbio, lo stupore e l’assenza” sono tre dei suggestivi titoli delle nove stanze -e quindi case, tappe- del percorso, in cui il tema di volta in volta proposto è affrontato affiancando immagini dai diversi percorsi sacri: quello di Ossuccio, di Varallo, Orta, Varese; immagini a loro volta illustrate da versi di Garcia Lorca, Rilke, Quasimodo, Saba e Turoldo.
Tuttavia al di là dell’inseguito e proclamato mistero non può non sorgere qualche perplessità.
Villa Baragiola pare essere la sede ideale di ogni mostra. La razionalità schematica del lungo porticato esterno, la facciata della villa vera e propria in posizione leggermente defilata, l’ampio giardino che la sovrasta, si aggiungono alle caratteristiche dello spazio interno: altrettanto ampio (500mq), scandito e ritmato da una seconda teoria di colonne e ben illuminato. Sfortuna vuole che “ Il racconto del silenzio – lo stupore dell’umano nelle scene misteriche del Gran Teatro dei Sacri Monti prealpini” non sia la mostra ideale.
L’allestimento ignora, invece di sfruttarle, le caratteristiche specifiche del luogo. Porta il buio là dove c’è luce;esaspera, chiude, stringe uno spazio perfetto che altro non chiede di essere lasciato così com’è; non me ne vogliano i curatori ma paiono essere stati vittima del horror vacui!
L’accostamento evocativo di parola poetica e immagini sacrifica un approccio storico, filologico. C’è senz’altro un intento mistico in questa scelta, tuttavia la storia dell’arte, proprio come la storia è fatta di nomi e date, non solo di emozione ,ma anche di informazione.
La mostra, che si protrarrà fino al 28 Ottobre, servirà sicuramente ad uno dei suoi scopi: quello turistico. Tuttavia una mostra d’arte, in uno spazio espositivo di così rara perfezione, dovrebbe cercare di essere qualcosa di più che non la versione artistica di un ufficio turistico.
Di lassù, fra arte e natura, il forestiero resterà sicuramente incantato dalla verde vista di una Varese, che a chi invece conosce il Sacro Monte da prima dell’ UNESCO, continua ad apparire, quanto a scelte culturali, autoreferenziale e provinciale.
Così fra gli effetti, questi non collaterali e non imprevisti, della Controriforma ci fu il pullulare dei Sacri Monti, di cui la zona insubrica fu ampiamente dotata. La logica estetica dei Sacri Monti è quella di sfruttare le suggestioni di alcuni luoghi paesaggistici come fondale spettacolare per l’ammaestramento evangelico. Dio crea, la chiesa sceglie, il credente stempera il senso di colpa nella commozione per il creato. Non stupisce, poi, che proprio la zona prealpina abbia accolto l’architettura sacra del Sacro Monte, essendo detta zona l’estremo avamposto prima del pericoloso mondo riformato. Il santuario come un forte, le cappelle come una linea di ordinati soldati.
L’inaugurazione di Villa Baragiola (Masnago) coincide con quella, al suo interno, di una mostra che si propone di rilanciare i Sacri Monti, quello di Varese in testa, come luoghi di arte e natura: arte sacra e natura creata.
Massimo Zanello, assessore della cultura in Lombardia, e Attilio Fontana si dicono decisi a sfruttare al meglio la pubblicità prestigiosa che il riconoscimento dell’UNESCO conferisce ai Sacri Monti lombardi e piemontesi e, fra le righe, a farla fruttare economicamente.
Curatore della mostra è Paolo Zanzi che, già dal lunghissimo titolo della stessa, insiste su silenzio e stupore ( l’esatto opposto di quanto la visita inaugurale ha garantito). “L’innocenza negata, il dubbio, lo stupore e l’assenza” sono tre dei suggestivi titoli delle nove stanze -e quindi case, tappe- del percorso, in cui il tema di volta in volta proposto è affrontato affiancando immagini dai diversi percorsi sacri: quello di Ossuccio, di Varallo, Orta, Varese; immagini a loro volta illustrate da versi di Garcia Lorca, Rilke, Quasimodo, Saba e Turoldo.
Tuttavia al di là dell’inseguito e proclamato mistero non può non sorgere qualche perplessità.
Villa Baragiola pare essere la sede ideale di ogni mostra. La razionalità schematica del lungo porticato esterno, la facciata della villa vera e propria in posizione leggermente defilata, l’ampio giardino che la sovrasta, si aggiungono alle caratteristiche dello spazio interno: altrettanto ampio (500mq), scandito e ritmato da una seconda teoria di colonne e ben illuminato. Sfortuna vuole che “ Il racconto del silenzio – lo stupore dell’umano nelle scene misteriche del Gran Teatro dei Sacri Monti prealpini” non sia la mostra ideale.
L’allestimento ignora, invece di sfruttarle, le caratteristiche specifiche del luogo. Porta il buio là dove c’è luce;esaspera, chiude, stringe uno spazio perfetto che altro non chiede di essere lasciato così com’è; non me ne vogliano i curatori ma paiono essere stati vittima del horror vacui!
L’accostamento evocativo di parola poetica e immagini sacrifica un approccio storico, filologico. C’è senz’altro un intento mistico in questa scelta, tuttavia la storia dell’arte, proprio come la storia è fatta di nomi e date, non solo di emozione ,ma anche di informazione.
La mostra, che si protrarrà fino al 28 Ottobre, servirà sicuramente ad uno dei suoi scopi: quello turistico. Tuttavia una mostra d’arte, in uno spazio espositivo di così rara perfezione, dovrebbe cercare di essere qualcosa di più che non la versione artistica di un ufficio turistico.
Di lassù, fra arte e natura, il forestiero resterà sicuramente incantato dalla verde vista di una Varese, che a chi invece conosce il Sacro Monte da prima dell’ UNESCO, continua ad apparire, quanto a scelte culturali, autoreferenziale e provinciale.
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