Il giorno 11 di Marzo 2007 si concluderà a Milano, la mostra di Jannis Kounellis “Atto Unico”, dopo un mese di proroga dovuto al suo certo successo.
La mostra dell’artista greco, italianizzato, è ospitata nei vasti ambienti della Fondazione Arnaldo Pomodoro, in via Solari nella zona fra Porta Genova e San Agostino, ambienti sapientemente ricavati nella ex fabbrica delle turbine della ditta Riva & Calzoni.
Una location perfetta, dai soffitti altissimi e orchestrata su tre piani, uno dei quali cela gli archivi e la biblioteca della fondazione.
L’immenso spazio interno disarma chi, provenendo da un esterno urbano e incolore, si scontra con un’impressionante estetica del vuoto.
Vuoto gestito con misura e discrezione da Kounellis, attraverso le sue installazioni.
L’artista, ormai settantenne, è attivo sulla scena italiana dall’esplosione della PopArt in ambiente romano, negli anni sessanta, è già precursore, per certi versi, di quell’arte povera che si affermerà a Torino dal 66 in poi, è partecipe della corrente concettuale, come dimostrano alcune sue scelte, quale quella di inserire elementi presi di peso dalla natura, elementi organici e viventi quindi, nello spazio “civile” delle gallerie; emblematico e a suo tempo di grande risonanza –era il 1969 - l’esperimento, a Roma, coi cavalli.
Il Kounellis che espone oggi alla Fondazione Arnaldo Pomodoro non è più quello dei “componimenti visivi”, degli esordi, negli anni cinquanta, quando proponeva, accostati nelle sue tele, numeri e lettere, quasi a voler formare alfabeti costruttivisti, in cui gli elementi minimi parevano più scelti per la loro veste grafica, che non per il loro supposto significato, la cui perdita era un tutt’uno colla perdita del loro contesto di appartenenza.
E’, al contrario, un artista approdato dal grafema all’installazione; questo, in parte, nonostante le sue affermazioni di poetica riguardo alla centralità della pittura nella sua personale vicenda. Di esplicitamente pittorico nella mostra Atto Unico, titolo che paradossalmente ripropone quello dell’omonima mostra tenuta nel 2002 alla galleria Nazionale dell’Arte Moderna di Roma, ci sono forse solo le quattro chiazze di smalto nero, che sporcano, in altrettanti luoghi, un pavimento altrimenti troppo esteso e troppo candido. La macchia di colore, realizzata dal gesto subitaneo dell’artista, come ben mostra il video che Ermanno Olmi ha girato inseguendo l’artista durante il sofferto lavoro di allestimento della mostra, diventa quindi un’inevitabile centro di forza, intorno al quale diviene quasi indispensabile “costruire” qualcosa. Questo espediente innesta sempre un procedere allusivo: al significante, fisso, si collegano diversi significati suggeriti vuoi dal contesto, vuoi dalle soggettività esperienti: la macchia di colore risulta quindi, di volta in volta, puro nodo nevralgico dell’attenzione quando appare isolata, scomoda presenza al centro di sedie (vuote) che la circondano e la scrutano, ombra sfuggente nello spazio sacrale e antico del labirinto.
L’installazione è, in Atto Unico di Kounellis, sinonimo di lessico materiale: se i pannelli di ferro di misura costante (200 ´180 cm) conferiscono regolarità e uniformità, ordine e misura all’insieme (giacché compaiono pressoché in ogni opera, con le più diverse funzioni, quasi fossero il modulo minimo scelto dall’autore), la polvere di caffè, così come i carichi “abbandonati” di carbone, sembrano essere stati scelti proprio per il loro potere sinestetico, per la loro capacità di veicolare sensazioni anche e propriamente olfattive, come a dire che l’opera d’arte contemporanea ha un suo specifico ed indimenticabile odore.
E la lista dei materiali e degli oggetti usati prosegue ancora, eterogenea e a volte eccentrica: piombo, sacchi di juta, carta, legno, frammenti di calchi di gesso, corde, ganci d’acciaio, carcasse di animali (per ovvie ragioni rimosse), libri, lampade a petrolio, coperte militari, campane, pietre.E tuttavia nell’impero dell’uso, o meglio del riuso del materiale dell’era industriale, appare fortissima l’impronta di un’autentica classicità, la vera classicità, quella greca, che Kounellis, nato al Pireo, fa rivivere in modo inedito, ma senz’altro autentico nelle forme spaziali del labirinto e nella sineddoche dell’imbarcazione (Teseo?) a cui alludono il cordame e le ampie vele.
foto tratta da flashartonline.it