venerdì 31 ottobre 2008

La spalla del capo, il suo tutto fare. Lo chiameremo Willie White. Difficilmente un altro nome pottrebbe essere più appropriato. Willie White non ha peso in questa storia, non lascerà traccia. E tuttavia è l'uomo che illumina la scena.
L'uomo? Va bene forse è più preciso chiamarlo essere o creatura. Mi spiego: non che Willie sia un alieno o qualche cosa di simile, ma ha indubbiamente perso molti dei suoi connotati umani, se mai li ha avuti. O forse, tali connotati, sono ancora tutti lì presenti all'appello, semplicemente messi in secondo piano dalla lucentezza, dal riverbero della sua pelle bianca.
Una pelle così bianca da illuminare l'oscurità. Certo non è il caso di esagerare, non è più di un debole riverbero. Ma è sufficiente.
Sufficiente a che cosa? vi starate chiedendo voi. Vi rispondo: sufficiente a dare a tutta la faccenda un profondo senso di irrealtà, una netta sensazione di sinistra artificiosità. Le parti esposte del suo corpo sono minime: due mani e un volto. Eppure eccolo lì, diafana lanterna. Se mai vedrò un fantasma non potrà essere molto diverso.
Qual'è lo scopo di Willie White a parte quello di rischiarare la scena in modo gotico e inquietante?
Credo prendere appunti per redigere un verbale.
Se devo dire la mia, un uomo che può rischiarare la tenebra rendendola ancora più spettrale può permettersi di non avere altri scopi e finalità pratiche; è già per se stesso un'installazione post-moderna, un 'opera d'arte contemporanea.
E poi c'è il capo.
Siede alla sua poltrona dirigenziale. Fatico a vederlo, ma posso immaginare come si sia agghindato per l'occasione. Ben vestito, sobrio. L'odore di cuoio delle sue scarpe arriva fino a me; un odore non particolarmente spiacevole. Occhiali cicolari e dorati, capelli corti e con qualche sfumatura di grigio, baffi dello stesso colore. Anello con rubino all'anulare della mano sinistra; la pietra è intonata alla cravatta. Sempre.
Mi dilungo in una descrizione di una persona che non posso vedere perchè è così che me le ricordo dai precedenti colloqui, quelli che avevano beneficiato della luce naturale o elettrica che fosse. Voci di corridoio dicono che si veste così da quindici anni. Quindici anni di completi uguali, di montature degli occhiali uguali. Di cravatte sempre rosse. Del rubino al dito ostentato nello stesso modo quasi arrogante.
Anche i capelli, dicono, hanno le stesse sfumature di grigio da quindici anni.
L'aspetto inquietante della faccenda è che molte delle voci di corridoio di cui sopra insistono nel sostenere che io e il capo siamo , o forse è più corretto dire siamo stati, due quasi perfette gocce d'acqua.
Io dico sempre a questi bontemponi che è impossibile, che si sbagliano, che è uno scherzo di cattivo gusto. Loro rispondono che non posso ricordare, perchè stanno parlando di tempi precedenti al mio ingresso nell'azienda.
Rispondo che è comunque impossibile: diversa la stazza del corpo, le caratteristiche dei capelli, il taglio del viso. "Ha il naso aquilino, quasi adunco, vi pare che sia il mio caso?" sono solito chiedere.
"I suoi occhi sono due fessure colore ghiaccio, vi pare siano paragonabili ai miei?"
Rispondono invovando plastiche, trasformazioni, mimetismi di cui però nessuno conosce la ragione.
Una volta uno di loro mi ha sussurrato all'orecchio: "Ci hai mai pensato? Potresti essere un clone..."

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